AUDIOMETRIA  SOPRALIMINARE

A)TESTS SOPRALIMINARI PER LA DIAGNOSI DI SOFFERENZE COCLEARI (orecchio interno).pag.2

Distorsione di Loudness (Distorsione della sensazione di intensità)

ABLB o Test di Fowler. pag.3

MLB Monolateral Loudness Balance o test di Reger. pag.6

Soglia differenziale di loudness (Ricerca della soglia differenziale d’intensità). pag.6

Test di LüscherZwislocky (Ricerca della soglia differenziale di intensità).pag.6
Prova di SISI (Short Increment Sensitivity Index) – test di Jerger
.pag.8

Soglia del Fastidio (LDL Loudness discomfort level).pag.10

Livello di Comodo Ascolto (MCL Most comfortable loudness level). pag.10

CAPACITÀ DISCRIMINATIVA PER LE VARIAZIONI DI FREQUENZA. pag.11

DISTORSIONE DI FREQUENZA (PITCH). pag.11

Prova degli stimoli costanti (Grisanti-König).pag.12

B)TESTS SOPRALIMINARI PER LA DIAGNOSI DI SOFFERENZE RETROCOCLEARI (nervo acustico, ecc)]. pag.13

ADATTAMENTO E FATICA UDITIVA

ADATTAMENTO
. Prove di adattamento

—  a livello liminare: (Rosenberg). pag. 15

—  a livello iuxta liminare: Il test di Carhart (TDT Tone Decay Test). pag. 15

— a livello sopraliminare:(Hood-Pestalozza) 15, Prova di Jerger (STAT Supra-   threshold adaptation test). pag.16

    Ricerca dell’adattamento con A. automatica. pag. 17

ADATTAMENTO ( TONE DECAY TEST) II APPROFONDIMENTO

FATICA UDITIVA. pag.18

Scivolamento Temporaneo di Soglia (TTS: Temporary Threshold Shift). pag.18

Scivolamento(Deriva) Permanente di Soglia (PTS: Permanent Threshold

Shift). pag.19

PROVE DI FATICA UDITIVA

Prova di Peyser. pag. 21

Prova del mascheramento interrotto di Bocca. pag. 21

SISI (Short Increment Sensitivity Index) I APPROFONDIMENTO. pag. 22

ADATTAMENTO ( TONE DECAY TEST) II APPROFONDIMENTO .pag. 38

L’audiometria tonale liminare determina il tipo ed il grado di una perdita uditiva; le prove sopraliminari di conduzione ossea come il Weber, il Rinne e il Bing aiutano l’esaminatore a distinguere tra un interessamento del sistema trasmissivo o neurosensoriale.
In presenza di una ipoacusia di tipo neurosensoriale le seguenti prove sopraliminari danno informazioni utili sulla distorsione di loudness, di frequenza e di tempo percepita dal paziente.

In queste prove i giudizi richiesti sono piuttosto complessi e non tutti i soggetti riescono a fornire delle risposte attendibili. Di conseguenza i risultati devono essere interpretati nel contesto di una batteria di prove audiologiche la quale comprende anche delle prove obiettive per la conferma della sede di lesione nell’orecchio interno. L’audiometria tonale liminare deve esse­re accompagnata dalle prove sopraliminari in quanto esse ci permetteranno una diagnosi topografica del danno in caso di sordità per­cettiva.

AUDIOMETRIA TONALE SOPRALIMINARE

Per audiometria sopraliminare si intende un insieme di tests audiometrici che adoperano suoni a livello di intensità più elevata della soglia e che mettono in evidenza disturbi qualitativi dell’udito. Questi tests permettono di differenziare:

A) LE SOFFERENZE COCLEARI (orecchio interno) e

B) QUELLE RETROCOCLEARI (nervo acustico, ecc).

Scopo dell’indagine tonale sopraliminare è la ricerca del RECRUITMENT e dell’ADATTAMENTO.
Tali fenomeni, presente solo in caso di patologia cocleare il primo (Recruitrnent) e fisiologico (Adattamento) il secondo, ma accentuato in caso di patologia retrococleare, vanno sempre ricercati entrambi in caso di deficit percettivo o misto, in quanto la presenza del primo non esclude il secondo e viceversa.


A)TESTS SOPRALIMINARI PER LA DIAGNOSI DI SOFFERENZE COCLEARI (orecchio interno)

LA RICERCA DEL RECRUITMENT

Come abbiamo visto è un particolare fenomeno, presente in caso di lesione cocleare, per cui il soggetto percepisce per piccoli incrementi di intensità grandi incrementi di sensazione acustica.

Abbiamo visto dalla fisiologia che il dB è l’incremento minimo di intensità necessario perché il soggetto normale percepisca aumenti di sensazione acustica, orbene il reclutante sarà in grado di percepire aumenti di sensazione anche con incrementi di stimolo inferiori a i dB.

Su tale principio sono basati i vari tests proposti.

Tali tests, pur avendo sensibilità e speciflcità elevata, non sono scevri da errore, pertanto va sempre condotto più di un test per la determinazione del recruitment.
Ricorderemo:

il test di Föwler (ABLB Alternate Binaural Loudness Balance) Distorsione di Loudness

il test di Reger (MLB Monolateral Laudness Balance)

il test di Lüscher (DLI -Discriminative Loudness Intensity) Soglia differenziale di loudness
il S.I.S.I. test (Short Increment Sensitivity Index) Soglia differenziale di loudness

Distorsione di Loudness (Distorsione della sensazione di intensità)

ABLB Alternate binaural loudness balance test [prova di bilanciamento binaurale alternato di loudness()]o Test di Fowler .

Questo test fu descritto da Fowler nel 1936 ed è una prova diretta di recruitment Viene eseguito solo nelle ipoacusie monolaterali o quando comunque esista un’asimmetria tra le soglie per via aerea dei due orecchi per una certa frequenza, pari ad almeno 30 dB. ABLB come dice il nome, è un test binaurale, si effettua solo in caso di perdita monolaterale quando la soglia per la frequenza in esame sia compresa nel lato ipoacusica fra 30 e 90 dB HL Il test viene effettuato sulle frequenze centrali (1000 e 2000 Hz). Viene presentato ad entrambe le orecchie uno stimolo sonoro, a livello di soglia, continuo o alternato, e si chiede al paziente di segnalare il momento (il livello sonoro) in cui avverte una sensazione soggettiva di uguale intensità nei due lati. In presenza di recruitment, per la stessa frequenza e per raggiungere la stessa loudness bilateralmente, occorre un incremento oggettivo d’intensità rispetto alla soglia notevolmente inferiore per l’orecchio malato rispetto a quello sano. Il soggetto avrà la sensazione di sentire meglio nell’orecchio peggiore per cui, per ottenere la sensazione di uguale intensità da ambo i lati, si renderà necessario un incremento di intensità dal lato migliore

Risultati
I risultati dell’ABLB possono essere registrati in tre modi diversi (Fig. 1):

– Sull’apposito modulo: il livello al quale il paziente raggiunge una sensazione di loudness uguale per i due orecchi viene tracciato e confrontato con una linea diagonale che corrisponde ad una normale funzione per la crescita della loudness

Fig. 1

I risultati dell’ABLB possono essere registrati in tre modi diversi (Fig. 1):
– Sull’apposito modulo: il livello al quale il paziente raggiunge una sensazione di loudness uguale per i due orecchi viene tracciato e confrontato con una linea diagonale che corrisponde ad una normale funzione per la crescita della loudness.
– Direttamente sull’audiogramma: i valori vengono inseriti direttamente sull’audiogramma in corrispondenza della frequenza di prova
Sul grafico “a scala” (laddergraph): i risultati per ogni singola frequenza vengono inseriti sul grafico (vedi esempi)

Si distinguono quattro pattern diversi:

(1) Recruitment assente (A): la crescita della sensazione di loudness descrive una funzione parallela nei due orecchi per i relativi incrementi di intensità. Nessun interessamento cocleare.

(2) Recruitment presente (B): la sensazione di uguale loudness viene raggiunta, ma con incrementi di intensità minori nell’orecchio peggiore (60 dB SL) rispetto a quelli necessari nell’orecchio migliore (100 dB SL). Lesione cocleare.

3) Over-recruitment (C): la sensazione di loudness è maggiore nell’orecchio peggiore ad alti livelli di intensità sopraliminare. Lesione cocleare.
(4) Decruitment (D): l’aumento di intensità (in dB SL) richiesto per raggiungere una uguale sensazione di loudness è maggiore nell’orecchio peggiore (80 dB SL)

rispetto all’orecchio migliore (60 dB SL). Alternativamente chiamato inversione di loudness, il decruitment è segno di interessamento retrococleare.

•        1a)Assenza di Recruitment,

•        1b)Presenza di Recruitment,

•        1c)Over Recruitment,

•        2a)Registrazione Grafica del test Di Fowlwer,

•        2b)Registrazione Grafica test di Lüscher-Zwislocky

FIG.2   Test di Fowler o del bilanciamento binaurale di loudness. Le linee diritte uniscono la curva dellorecchio normale e dell’orecchio malato lì dove la sensazione di intensità è uguale per i due lati.

http://www.tanzariello.it/orecchio/esami/fig_1_test-di-fowler.gif

Fig.3

Il test di Reger (MLB Monolateral Loudness Balance) MLB il test, monoaurale, si effettua in caso di ipoacusia percettiva con soglia per la frequenza 500 ancora circa normale e perdita in pendenza progressiva per le frequenze più acute.
Va notato come tale morfologia di perdita sia tutt’altro che rara, essendo al contrario il deficit tipico delle ipoacusie neurosensoriali.

Il test, pur potendo avere un ampio utilizzo, è tra i meno usati per la difficoltà da parte del paziente, cui è richiesto di paragonare l’intensità di due suoni di frequenza differente; facilmente il soggetto confonde aumento di frequenza con aumento di intensità.
L’esame consiste nel presentare al soggetto, alternativamente, nello stesso orecchio, un tono di frequenza 500 Hz a livello di soglia e un tono di 1000 o più Hz sempre a livello di soglia, le due soglie devono differire di almeno 30dB.
Si aumenta quindi di 10 dB il tono acuto ricercando di quanti dB va aumentato lì 500 Hz per ottenere la stessa sensazione di incremento.

Le risposte vengono graficate come nel test di Fowler sostituendo alle diciture — orecchio di riferimento (REF) — orecchio testato (VAR) — le due frequenze — 500 Hz-l000 Hz — nell’esempio riportato, pure l’interpretazione dei risultati è identica.

Soglia differenziale di loudness (Ricerca della soglia differenziale d’intensità)

Test di LüscherZwislocky (Ricerca della soglia differenziale di intensità)
Si tratta di un test monoaurale (che si può effettuare per ogni singola frequenza e si basa sulla ricerca della soglia differenziale di intensità) che consiste nella misurazione della più piccola variazione d’intensità apprezzabile per una certa frequenza.

All’orecchio in esame viene inviato un tono puro modulato ad un’intensità di 30-40 dB sopra la soglia. Vengono poi introdotte piccole variazioni di intensità (< 1 dB: 0.75, 0.50, etc.) al di sopra del tono portante e il soggetto dovrà segnalare la eventuale percezione di variazione di intensità.

http://www.tanzariello.it/ORECCHIO/esami/fig_1_test-di-lusher.gif

Fig. 4a/4bTest di Lüscher effettuato sull’orecchio sinistro per le frequenze 500-1000-2000 e 4000 Hz: valori patologici si riscontrano in questo caso solo a 2000 Hz e 4000 Hz

Mentre l’orecchio normale non è in grado di percepire modulazioni d’intensità inferiori a 1 dB, in presenza di lesioni cocleari la sensazione di modulazione verrà avvertita anche per valori di incremento di 0.75, 0.50 00.25 dB. Si registra graficamente con un piccolo triangolo inscritto sulla retta che corrisponde alla frequenza interrogata, al livello di intensità a cui si è effettuata la prova. Alla base del triangolo è segnato il valore della soglia discriminativa (Fig .3 N°2b).

Il test ha lo svantaggio di richiedere una notevole attenzione da parte del paziente.
La presenza di recruitment può anche essere evidenziata dalla ricerca della soglia del fastidio. In un soggetto normale, la sensazione di fastidio durante una stimolazione sonora intensa si può provocare inviando uno stimolo sonoro di 90-105 dB superiore al valore di soglia.

Nei soggetti con recruitment, invece, per la presenza di un campo dinamico ristretto, la differenza tra soglia tonale e soglia del fastidio sarà ridotta, fino a 25-30 dB sopra soglia.
I tests sopraliminari per la ricerca di distorsioni sonore sull’asse del tempo ricercano i fenomeni di adattamento e fatica uditiva

Prova di SISI (Short Increment Sensitivity Index) – test di Jerger

Il SISI test (short increment sensitivity index) presenta numerose analogie con il test di Lüscher. Ha il vantaggio di richiedere all’esaminato un minore impegno, pertanto le risposte fornite sono più facilmente interpretabili. Anche il SISI test è monoaurale, e si effettua esplorando le frequenze alle quali l’orecchio presenta una perdita uditiva neurosensoriale.
Dopo aver determinato la curva tonale liminare, si invia il tono puro con intensità di 20 db sopra soglia (SL). Su questo tono portante si inscrivono periodici incrementi di i db della durata di 200 msec., in numero complessivo di 20, con cadenza di uno ogni 5 secondi.
Il paziente deve segnalare quando percepisce l’incremento di intensità; essendo 20 il numero degli incrementi presentati, ognuno di essi corrisponde al 5°/o del totale.
La percentuale di incrementi percepiti viene riportata su di un grafico, detto SlSlgramma, ove in ascissa abbiamo le varie frequenze esplorate, e in ordinata le percentuali.
Il test, come indicatore di recruitment, è considerato negativo se il paziente avverte meno dei 30°/o degli incrementi, dubbio fra il 30°/o e il 60°/o, positivo oltre il 60°/o.

 

Fig. 5

Il test è sempre negativo, e generalmente uguale a zero, nei portatori di neurinoma dell’acustico – tipica causa di ipoacusia percettiva retrococleare -; è negativo nelle ipoacusie trasmissive; è positivo nei pazienti affetti da malattia di Menière, – o da altri tipi di ipoacusia percettiva cocleare -.

E’ quindi assodato il fatto che un SISI test positivo è un ottimo indice di lesione cocleare, e quindi il test è a buona ragione integrato nelle batterie di esami per discriminare ipoacusie cocleari e retrococleari.

Si ribadisce come sia indispensabile eseguire il test con tono portante a 20 db SL, in quanto ad intensità superiori esso è sempre positivo, vale a dire non solo orecchi con ipoacusia percettiva cocleare, ma anche con ipoacusia

(1) Per familiarizzare il soggetto con la prova, si invia un tono continuo alla frequenza prescelta ad una intensità di 20 dB SL. Incrementi successivi di 5, 3 e 2 dB vengono introdotti automaticamente al di sopra del tono portante ad intervalli regolari. Il paziente deve spingere il pulsante quando avverte la modulazione di intensità.

(2) Raggiunto il livello di 1 dB/incremento, inizia la procedura formale: vengono presentati 20 successivi incrementi ognuno della durata di 300 ms compreso un tempo di salita/discesa di 50 ms.

 (3) Si ottiene un punteggio a percentuale, moltiplicando le risposte positive per cinque. Alcuni audiometri hanno un dispositivo digitale che rende più facile la registrazione dei risultati.

(4) Negli orecchi normali il punteggio non supera mai il 25-30%; in quelli con recruitment, invece, può raggiungere persino il 100% alle frequenze interessate.

Sensazione soggettiva di loudness

Il test però può dare falsi positivi nel caso di esaminati molto attenti che potrebbero percepire tutti gli incrementi pur in assenza di danno cocleare, ad ovviare a ciò è stato proposto un S.I.S.I. sensibilizzato con incrementi di solo 0.75 dB. Tale modifica permette di escludere ogni falso positivo, non è infatti possibile che un soggetto senza recruitment percepisca simili incrementi, ma introduce, ed è assai peggio, dei falsi negativi in quanto è possibile che un soggetto con recruitment, ma un po’ distratto, non percepisca percentuali elevate di incrementi.

L’esperienza dell’esaminatore e la concordanza di risultati a più tests permetteranno una diagnosi altamente probabile di recruitrnent e cioè di sede cocleare, o meglio anche cocleare del danno.

L’impedenzometria, se possibile rilevare il riflesso stapediale, permette un test obiettivo di recruitment (test di Metz) che se possibile andrà pure sempre eseguito (vedi Impedenzometria)

.

Fig. 6 Due esempi di Sisigramma: A) un caso di ipoacusia retrococleare; B) un caso di ipoacusia cocleare. Sono riportate in ordinate le percentuali di risposte esatte, in ascisse le frequenze esaminate.

SISI (Short Increment Sensitivity Index)I approfondimento

Sensazione soggettiva di loudness

Soglia del Fastidio (LDL Loudness discomfort level)

Uno dei fenomeni riferiti più frequentemente dai soggetti affetti da recruitment è il fastidio per i suoni forti. Poiché presentano una compressione del range dinamico a causa dell’anormale crescita di loudness, è tipico riscontrare in questi soggetti una intolleranza verso suoni improvvisi e forti.

 Lo scopo di questa prova è definire la gamma dinamica soggettiva per ogni singola frequenza. Di solito viene eseguita a 500-1000-2000-4000 Hz, ossia alle frequenze del linguaggio. Di conseguenza, oltre a rilevare la presenza di recruitment, può anche essere utilizzata per le tecniche di adattamento protesico.

(1) A partire da un livello (in dB SL) ritenuto comodo per il paziente in base all’audiometria tonale, vengono presentati monauralmente dei toni pulsati della durata di 1 secondo ad intervalli di i secondo per la frequenza prescelta.

(2) L’intensità viene aumentata in scatti da 5 dB.

(3) Il paziente deve spingere il pulsante appena il suono comincia a diventare fastidioso, e non quando non lo sopporta più.

(4) Nei soggetti normoacusici il livello di fastidio si trova intorno ai 90-100 dB HL (circa 80-90 dB SL); nei soggetti con recruitment la differenza tra soglia tonale e soglia del fastidio sarà ridotta significativamente (talvolta si riduce a 25-30 dB SL) e questo è una misura molto utile del range dinamico per ogni singola frequenza.
Livello di Comodo Ascolto (MCL Most comfortable loudness level)

Con questa tecnica è possibile stabilire il livello al quale il paziente riesce a tollerare i suoni forti, rimanendo sempre entro i limiti della sopportabilità.

(1)A partire dalla soglia per la frequenza di prova, vengono presentati monauralmente dei toni pulsati di i secondo (intervallo i s).

(2) L’intensità dello stimolo viene aumentata in scatti da 5 dB e il paziente deve     spingere il pulsante quando il suono diventa troppo forte.

(3) A questo punto, l’intensità viene ridotta di 10 dB.

(4) Vengono ripetute le fasi (2) e (3) in modo da permettere al paziente di aggiustarsi ai vari livelli, finché viene raggiunto un livello al quale il paziente ritiene che il suono sia tollerabile.

(5) La maggior parte dei normoacusici riesce a tollerare bene i suoni intorno ai 50-70 dB SL; i soggetti con problemi di intolleranza per suoni forti (tra cui, ma non esclusivamente, i recruitanti) riferiscono un MCL ridotto (persino a 15-20 dB SL).
(6) Indirettamente, l’MCL può anche essere derivato dalla soglia dei riflessi acustici e dei livelli di massima discriminazione vocale. Per quanto riguarda quest’ultimo criterio, è evidente che per raggiungere la massima discriminazione vocale, il relativo livello di ascolto deve corrispondere necessariamente ai livello che risulta più comodo per il paziente.

CAPACITÀ DISCRIMINATIVA PER LE VARIAZIONI DI FREQUENZA

E’ opportuno effettuare un brevissimo accenno agli studi che concernono la discriminazione di frequenza poiché essi, anche se privi finora di un riscontro clinico-diagnostico, rappresentano comunque una materia in evoluzione.

La capacità dell’apparato uditivo di effettuare l’analisi frequenziale costituisce il cardine nella lettura del messaggio acustico.

Gli Autori che si sono occupati del problema hanno notato che per toni attorno a 250 – 500 – 1000 Hz l’orecchio è in grado di apprezzare una differenza di frequenza (ΔF) da 2 a 4 Hz, che sale a 6-20 Hz per toni attorno a 2000-4000 Hz.

L’intensità alla quale si notano le migliori perfomances è di circa 30-40 db SL.
Passando ad esaminare i soggetti patologici, si osserva come nei pazienti affetti da ipoacusia neurosensoriale l’esplorazione della ΔF non dia luogo a reperti omogenei e significativi. Solamente nei pazienti con recruitment si osserva un deterioramento, cioè un aumento, della ΔF quanto più il recruitment è accentuato, cioè quanto più I è bassa. Peraltro il reperto non è affatto costante.

Recenti studi, condotti impiegando un tono puro della durata di 3 sec, seguito senza interruzioni da un altro tono puro della durata di 2 sec. e di frequenza leggermente diversa, hanno confermato questi risultati. Ad essi non si può comunque attribuire un assoluto valore semeiologico.

Altri studi hanno messo in evidenza, contrariamente a quanto ci si aspettava, che in pazienti ove l’audiometria vocale è francamente patologica, la capacità discriminativa per le variazioni di frequenza risulta relativamente poco deteriorata.

Finalisticamente, si può ipotizzare che ciò dipenda dalla attivazione di meccanismi biologici poco sensibili agli insulti lesivi, aventi la funzione di salvaguardare una delle funzioni basilari dell’orecchio, cioè la capacità di riconoscere suoni diversi, e quindi di comprendere i messaggi sonori

Distorsioni della sensazione di altezza

Le distorsioni della sensazione tonale o di altezza consistono nell’ apprezzamento erroneo della frequenza e del timbro dei suoni e sono meno note delle altre turbe qualitative dell’udito.

Infatti vengono avvertite generalmente dai pazienti attenti o allenati come i musicisti e quando sono prevalentemente monolaterali, esistendo in tal caso un naturale termine di paragone soggettivo con l’altro lato.

Le distorsioni di altezza più note sono le paracusie e la diplacusia ossia la diversa sensazione di altezza tra i due lati per uno stesso tono.

In molte situazioni patologiche a livello recettoriale cocleare di tipo Menièrico risulta più spesso deteriorato il potere risolutivo nei riguardi della frequenza, cioè la capacità di distinguere fra due suoni di altezza molto vicina. Essa si quantifica attraverso la soglia discriminativa di frequenza assoluta (F) o relativa (ΔF/F) che indica la più piccola variazione d’altezza apprezzabile dall’ascoltatore.

La Δz è legata però ad una serie di fattori di estrema variabilità dovuti sia all’ ascoltatore che allo stimolo. I primi sono rappresentati dall’attitudine individuale, ossia dal possesso spontaneo o acquisito di un potere risolutivo più o meno elevato, che può variare a sua volta per condizioni fisiologiche quali l’età, l’allenamento ecc. I secondi sono legati alla natura dello stimolo, alle frequenze in confronto, al modo di presentazione ecc.

DISTORSIONE DI FREQUENZA (PITCH)

In alcuni casi, una patologia dell’orecchio interno può inibire la capacità del sistema uditivo di elaborare i suoni in frequenza. Non è un disturbo molto comune.
In effetti viene riferito per lo più da soggetti “allenati” all’ascolto, per esempio i musicisti. Una di queste manifestazioni è la diplacusia, fenomeno tramite il quale lo stesso suono presentato ai due orecchi allo stesso livello di intensità evocherà diverse sensazioni di pitch.

Le prove per la valutazione della distorsione di pitch misurano la capacità dell’orecchio di discriminare minime alterazioni in frequenza (X F). Tuttavia, queste prove non vengono effettuate nella pratica comune in quanto mancano, tutt’oggi, delle norme specifiche a proposito e richiedono l’uso di strumentazione di tipo sperimentale (es. audiometro a frequenza continua).

Inoltre, i risultati possono essere condizionati da diverse variabili quali l’età, la capacità individuale di risoluzione in frequenza, l’allenamento, il metodo usato, l’intensità e la durata dello stimolo.

Segue una descrizione dei due metodi più usati per la determinazione di distorsione di pitch.
Modulazione di frequenza

(1) Un tono, modulato in frequenza (3-6-9 Hz) viene sovrapposto ad un tono portante a frequenza fissa inviato ad un livello di 10 dB SL.

(2) Il paziente deve riferire quando lo stimolo sembra continuo.
(3) Il differenziale di frequenza ( F) corrisponde alla più piccola variazione in frequenza che permette al soggetto di riconoscere la presenza di un tono modulato (warble) e non continuo.

(4) L’orecchio umano dimostra, in media, una risoluzione in frequenza di 3 Hz, ma non tutti i soggetti sono in grado di percepire modulazioni in frequenza così piccole.

Prova degli stimoli costanti (Grisanti-König)

(1) Due stimoli identici vengono presentati simultaneamente ad un livello di 10 dB SL.

(2) Uno degli stimoli (quello di riferimento) viene mantenuto a frequenza fissa mentre la frequenza del secondo stimolo viene modulata (36-9 Hz).

(3) Il paziente deve indicare se la frequenza del secondo tono è più acuto o più basso rispetto al tono portante “di riferimento”.

(4) Questo processo viene ripetuto a vari livelli di modulazione finché il soggetto non è più capace di distinguere tra i due toni.

Distorsione temporale

L’adattamento uditivo è un fenomeno perstimolatorio tramite il quale, in presenza di un tono continuo di lunga durata, avviene una riduzione fisiologica della loudness. La sensazione uditiva, vicino al livello di soglia, può raggiungere la totale estinzione. Ritorna a valori normali subito dopo la cessazione dello stimolo continuo. L’adattamento è specifico per la frequenza di stimolo e si pensa che sia correlato alla velocità di recupero metabolico delle fibre del nervo acustico.

L’adattamento uditivo patologico, o decadimento tonale, è segno di lesione retrococleare e può essere rilevato tramite le seguenti prove:

B)TESTS SOPRALIMINARI PER LA DIAGNOSI DI SOFFERENZE RETROCOCLEARI (nervo acustico, ecc)].

ADATTAMENTO E FATICA UDITIVA

ADATTAMENTO
I fenomeni dell’adattamento e dell’affaticamento consistono entrambi in una diminuzione di sensibilità agli stimoli sonori dell’apparato uditivo

Nonostante tale connotato comune, in realtà le basi fisiopatologiche di questi fenomeni sono assai diverse.

L’adattamento è definito come una diminuzione di sensibilità dell’apparato uditivo che si instaura durante una stimolazione sonora di intensità normale.
Esso dipende da primitive alterazioni che abbiano interessato una o più stazioni neurali retrococleari, ovvero l’ottavo nervo cranico o la via uditiva a livello del sistema nervoso centrale.

Fatica Uditiva (affaticamento )Diminuzione temporanea della capacità uditiva, che persiste per alcune decine di secondi nell’orecchio sottoposto a una stimolazione sonora intensa, ancor più se essa è prolungata.

 L’entità e la durata della f. uditiva dipendono dall’intensità e dalla durata della stimolazione sonora e interessano specificamente la frequenza del suono stimolante e le frequenze vicine. Essa è un fenomeno simile all’adattamento uditivo, ma più accentuato. La f. uditiva sarebbe dovuta a un esaurimento funzionale transitorio dei recettori dell’udito e in particolare del nervo acustico  può essere studiata con particolari esami audiometrici, che rivelano un innalzamento della soglia uditiva dopo la stimolazione sonora. Un aumento dell’affaticabilità uditiva, rivelato con l’impiego di tali prove, è espressione di una lesione dell’apparato nervoso dell’udito. Fermo restando l’intervento di fattori individuali, per cui tale decremento di performance varia da persona a persona, le alterazioni morfo-funzionali responsabili dell’affaticamento sono direttamente causate dall’esposizione sonora, quindi non sono preesistenti, ed hanno la loro sede specificamente a livello cocleare.

Esiste una correlazione fra anormali valori di adattamento e probabilità di lesione retrococleare; pertanto il reperto ditali valori nel corso di appositi test costituisce una precisa indicazione ad ulteriori approfondimenti diagnostici, specie, ma non solo, in direzione della diagnosi di neurinoma dell’ottavo nervo cranico.

Per ciò che riguarda l’affaticamento, è implicito il potenziale valore clinico di prove che consentano di graduare la suscettibilità individuale all’energia sonora, specie in relazione all’inquinamento acustico nei luoghi di lavoro.

In realtà non sono disponibili per ora dei parametri attendibili per quantificare la lesività del rumore nel singolo individuo; pertanto non è possibile effettuare una specifica prevenzione, che parta da basi meno generiche di una ovvia constatazione di nocività del rumore intenso La fatica auditiva è la diminuzione della sensibilità uditiva dopo il termine di una stimolazione prolungata. Si tratta di un innalzamento temporaneo e reversibile della soglia di percezione che si verifica in soggetti normali dopo occasionale esposizione al rumore (come ad es. la diminuzione temporanea del visus dopo l’abbagliamento). Tale fenomeno è verosimilmente legato ad esaurimento biochimico funzionale dei recettori specifici, e dovrebbe pertanto considerarsi come un fenomeno di refrattarietà relativa.

DISTORSIONE TEMPORALE

L’adattamento uditivo è un fenomeno perstimolatorio tramite il quale, in presenza di un tono continuo di lunga durata, avviene una riduzione fisiologica della loudness. La sensazione uditiva, vicino al livello di soglia, può raggiungere la totale estinzione. Ritorna a valori normali subito dopo la cessazione dello stimolo continuo. L’adattamento è specifico per la frequenza di stimolo e si pensa che sia correlato alla velocità di recupero metabolico delle fibre del nervo acustico.

L’adattamento uditivo patologico, o decadimento tonale, è segno di lesione retrococleare e può essere rilevato tramite le seguenti prove:

LA RICERCA DELL’ADATTAMENTO PATOLOGICO [TESTS SOPRALIMINARI PER LA DIAGNOSI DI SOFFERENZE  RETROCOCLEARI (nervo acustico, ecc)].

L’adattamento è un fenomeno fisiologico omnisensoriale a sede centrale per il quale il soggetto sottopoto ad uno stimolo sensoriale costante dopo un tempo variabile percepisce in modo attenuato o non percepisce più lo stimolo.

L’adattamento va distinto dall’affaticamento, fenomeno periferico legato ai recettore che non è più in grado, per esaurimento, di trasformare lo stimolo in impulso nervoso da inviare al centro. Poiché nell’adattamento il recettore continua regolarmente ad inviare lo stimolo nervoso, è il centro che, per uno stimolo costante, si abitua al medesimo e non lo considera ulteriormente. 11 tempo di adattamento di un determinato stimolo invariato nel tempo, varia con l’intensità dello stesso e, in campo uditivo, con la frequenza in Hz dello stimolo.

Le vie centrali presentano adattamento più rapido per stimoli intensi e per frequenze elevate.
In caso di patologia interessante le vie uditive centrali, l’adattamento perstimolatorio diviene più rapido, denunciando con ciò una sofferenza delle stesse.
Fra i tests per ricercare la presenza di adattamento patologico ricorderemo:
. Prove di adattamento

— a livello sopraliminare (Hood-Pestalozza) Prova di Jerger (STAT)

— a livello liminare (Rosenberg)

— a livello iuxta liminare (Carhart)

1)Prova di Hood-Pestalozza A livello sopraliminare

Si effettua preventivamente un bilanciamento di sonorità tra orecchio in esame ed orecchio controlaterale di confronto, con un tono puro presentato a 50 dB sopra la so glia dell’orecchio in esame. Successivamente si invia per 3’ lo stesso tono al solo orecchio in esame, quindi si effettua un nuovo bilanciamento, ripresentando il tono anche all’orecchio di controllo, fino ad eguagliare la sensazione sonora tra i due lati.
Il bilanciamento si ottiene allora ad una intensità minore dal lato non ammalato ed il valore dell’adattamento dell’orecchio in prova è rappresentato dalla differenza tra le intensità necessarie ad effettuare il bilanciamento prima è dopo la stimolazione prolungata. Esso esprime perciò il decremento di sensibilità dell’orecchio in esame rispetto al lato non stimolato.

2)Prova di Rosemberg (TDT) a livello liminare

Uno degli svantaggi del TDT di Carhart è la sua durata eccessivamente lunga.

Rosenberg ha modificato la prova come segue:

(1) A partire da 5 dB il tono continuo viene presentato per un tempo indeterminato.
(2) Il paziente deve segnalare quando non lo sente più.

(3) A questo punto il tono viene aumentato di 5 dB.

(4) Queste procedura viene ripetuta per una durata totale di 60 secondi.
(5) Incrementi maggiori di 25 dB SL, nell’arco dei 60 secondi, sono da considerarsi patologici.
Questa procedura è molto più breve rispetto alla prova di Carhart, in quanto non è necessario riprogrammare il tempo ad ogni cambio di livello. Tuttavia, non è in grado di rilevare un danno a carico del nervo acustico durante le fasi iniziali, in quanto ciò richiede una stimolazione più prolungata.

TDT il test di Carhart nella variante proposta da Rosemberg consiste nel presentare il tono in esame a 5 dB SL invitando il soggetto a segnalare. abbassando il dito, appena non lo percepisca più.

A tal punto il tono viene incrementato di 5 dB e così di nuovo appena il paziente non lo percepisca più nuovamente.

Il test viene prolungato per 60 s e si conta di quanti dB si è dovuto incrementare il tono iniziale per mantenerne la percezione per tutto tale tempo.
E’ patologico se si deve incrementare il tono di 25 o più dB.

Tale variante de test è più rapida e pertanto più usata del test originale che. sempre partendo da 5 dB SL e per incrementi di 5 dB, ricercava quale fosse l’intensità minima dello stimolo perché questo potesse essere percepito per l’intero periodo di 60 s.
Va però rilevato come tale metodica originale, se più lunga, era però più sensibile della variante proposta da Rosemberg in caso di lesioni iniziali.


3)Il test di Carhart (TDT Tone Decay Test) a livello iuxta liminare
permette di determinare la presenza di un adattamento patologico, ovverosia la perdita di sensibilità uditiva legata ad una stimolazione acustica continua con caratteristiche qualitative e quantitative costanti, e che cessa al termine dello stimolo. È un esame monoaurale, eseguito per le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz.

(1)A partire da 5 dB al di sopra della soglia per la frequenza in esame, viene inviato un tono continuo. Lo stimolo viene programmato con una durata di 60 secondi.

(2) Il paziente deve tenere premuto il pulsante finché non sente più il suono.
(3) Ogni volta che il paziente lascia il pulsante, l’esaminatore deve aumentare lo stimolo di 5 dB e azzerare l’orologio per altri 60 secondi.
(4) Lo scopo della prova è registrare il livello al quale il paziente sente lo stimolo in modo continuo per un minuto intero.

(5) Il grado di decadimento tonale è determinato dalla differenza in decibel tra la soglia e quest’ultimo livello.

(6) I normoacusici riescono a percepire il tono continuo per 60 secondi entro 15 dB SL. Ciò è valido anche in presenza di una ipoacusia di trasmissione. Differenze maggiori di 30 dB sono da considerarsi patologiche e sono tipiche di disturbi di origine retrococleare.

Fig.7

4)Prova di Jerger (STAT – Supra-threshold adaptation test) a livello sopraliminare

Questo test, proposto da Jerger, si basa sul presupposto che il rilevamento è basata sulla premessa che l’adattamento patologico è più evidente a livelli molto elevati di stimolazione utilizzando stimoli sovraliminari. La prova si esegue inviando nell’orecchio testato un tono continuo all’intensità di 100 dB HL a 500 Hz, 105 dB HL a 1000 Hz, 100 dB a 2000 Hz e 100 dB a 4000 Hz e simultaneamente nell’orecchio controlaterale un rumore bianco dell’intensità fissa di 90 dB HL.

1.Il paziente viene istruito a segnalare finché sente il suono nell’orecchio esaminato. L’orecchio non in esame è mascherato con rumore bianco ad un livello di 90 dB SPL.

2.Viene presentato un suono test continuo a 500 Hz a 110 dB SPL fino a che il paziente segnala che non sente più il suono o fino a che sono trascorsi 60 sec, qualsiasi delle due condizioni avvenga prima.

3.Se il paziente ha risposto per tutti i 60 sec alla frequenza d’esame, il test è considerato negativo.

4.Il test è considerato positivo se il paziente non ha risposto per tutti i 60 sec.

5.Per assicurarsi che il paziente abbia afferrato la natura essenziale del compito uditivo, il suono test viene fatto pulsare per 60 sec. Se il paziente segnala che ha sentito il suono pulsato ma non quello continuo per 60 sec, è probabile che risponda al test in modo adeguato.

6.L’esaminatore può allora esaminare i 1000 e 2000 Hz, come mostrato nei punti da 1 a 5.

Il test si considera positivo per una lesione retro-cocleare quando il soggetto non riesce a mantenere la sensazione acustica per un intero minuto. Quando il risultato è positivo o dubbio si ripete la prova con un tono interrotto (durata 0,5 sec., pausa 0,5 sec.). Se il soggetto percepisce lo stimolo interrotto per l’intero minuto il risultato patologico ottenuto in precedenza è confermato.
La prova, che non può essere impiegata quando la soglia superi gli 80 dB HL, si dimostra alterata nel 98% dei casi di patologia cocleare e nel 55% di patologia retrococleare.
In quest’ultimo tipo di sofferenza le percentuali di falsi negativi sono del 45o contro il 20-25% del TDT nella patologia dell’VIII° (Jerger).

Dato che molti audiometri sono calibrati in HL (hearing level) piuttosto che in SPL, i livelli di stimolo di 110 dB SPL specificati dagli autori dovrebbero essere convertiti in HL per renderli coerenti con l’intensità di calibrazione audiometrica. Approssimativamente, i livelli uditivi equivalenti ai livelli di 110 dB SPL sono: 500 Hz = 100 dB HL, 2000 Hz = 100 dB HL e 1000 Hz = 105 dB HL.

Anche per la ricerca dell’adattamento patologico, se possibile evocare il riflesso stapediale è possibile documentare obiettivamente ciò con il test di Anderson (vedi Impedenzometria).

 Ricerca dell’adattamento con A. automatica

Si adopera una frequenza bloccata. Un tono continuo viene presentato per 2 o 3 mi- miti primi. Nei cocleari l’aumento finale della soglia non supera i 15 dB, nei retrococleari può giungere anche oltre i 30 dB (Fig.8 ). L’intensità di attenuazione è di 1 dB.

Fig. 8. Adattamento patologico nelle lesioni cocleari (B) e retrococleari (C) con A. automatica a frequenza fissa

ADATTAMENTO ( TONE DECAY TEST) II APPROFONDIMENTO

FATICA UDITIVA

Tests di affaticamento

Il fenomeno dell’affaticamento uditivo è legato a squilibri metabolici che si verificano nel recettore cocleare quando esso viene sottoposto ad una eccessiva stimolazione sonora, squilibri verosimilmente di natura ipossica, non disgiunti da processi di iperaccumulo di cataboliti.

Pertanto la sede delle alterazioni elettrofisiologiche che sono alla base della fatica uditiva è posta alla periferia dell’apparato uditivo, e più precisamente nella coclea.
E’ intuibile che sarebbe assai utile, specie negli ambienti di lavoro, poter prevedere la quantità di rumore tollerabile dal singolo individuo prima che si instauri una ipoacusia irreversibile.
Questo è risultato finora impossibile, e pertanto ci si deve basare su tests indiretti, peraltro di insufficiente attendibilità.

Si parla si uno spostamento temporaneo di soglia (STS) che può avere una durata variabile:

1.   STS di cortissima durata (meno di 1 se.)

2.   STS di breve durata (12 min.)

3.   STS di lunga durata (fino a 16 h), detto anche fisiologico o ordinario

4.    STS di lunghissima durata (oltre 16 h) detto patologico

La valutazione della fatica uditiva è importante nello studio degli effetti uditivi patologici del rumore (temporanei o permanenti).

Prima di esaminare la semeiotica della fatica uditiva, occorre precisarne la terminologia.
Scivolamento Temporaneo di Soglia (TTS: Temporary Threshold Shift):

esprime, in db, il peggioramento della soglia uditiva dopo una stimolazione acustica affaticante; per definizione la soglia uditiva ritorna ai valori prestimolo dopo un certo tempo di recupero.

Recupero: esprime l’andamento temporale del ritorno della soglia uditi- va ai

valori prestimolo, dopo aver subito una TTS.

Scivolamento(Deriva) Permanente di Soglia (PTS: Permanent Threshold

Shift): esprime, in db, una perdita uditiva permanente ed irreversibile, dopo una stimolazione sonora avente, per intensità e durata, carattere di nocività.
TTS. E’ stato osservato come suoni o rumori inducono la maggiore TTS per le frequenze ad essi superiori, e come le frequenze più sensibili all’affaticamento siano quelle acute, 4000 Hz ed oltre.

Pertanto la misura della TTS si effettua in genere sulla frequenza 4000 Hz, dopo aver esposto l’orecchio ad un rumore a banda stretta con ambito spettrale fra 1200 e 2400 Hz.
Con suddetto rumore a banda stretta si realizza un affaticamento a condizione che l’intensità sia di almeno 75 db SPL. La TTS aumenta in modo
proporzionale a:

— intensità;

— durata fino al limite di 12 ore, oltre il quale la TTS non oltrepassa il valore massimo fin qui raggiunto.


Recupero. Nel tempo di recupero si distinguono tre fasi. La prima fase dura 2’, ha un andamento assai irregolare, ed al termine si misura la TTS2. Dopo 2’ ha inizio una seconda fase, in cui il recupero procede velocemente, proporzionale al logaritmo del tempo. La terza fase ha inizio più tardivamente, e l’andamento del recupero è più lento, direttamente proporzionale al tempo. La durata massima del recupero è proporzionale all’entià della TTS.

I limiti entro i quali si considera un affaticamento non patologico, o parafisiologico, sono:
— TTS2<40db;

— Recupero< 16 ore.

Si ammette un tempo massimo di recupero uguale o minore di 16 ore, trascorse le quali la TTS deve essersi annullata per rientrare nei limiti della tollerabilità, in quanto questo è il tempo che intercorre fra due normali turno di lavoro di 8 ore. Se il recupero è maggiore, possono aversi delle sovrapposizioni di TTS, fino al danno uditivo irreversibile, cioè la PTS.

Occorre tuttavia segnalare come in certi casi non subentrino lesioni permanenti della capacità uditiva anche con TTS2 > 40 db.

Verranno esaminati ora i principali test di affaticamento.

VALUTAZIONE DEI FENOMENI RESIDUI (TTS) (approfondimento)

Si studia l’innalzamento temporaneo di soglia (TTS) conseguente a stimolazione prolungata monoaurale di notevole intensità.

L’innalzamento temporaneo di soglia (TTS) va distinto dalla deriva permanente di soglia (PTS).

Per quanto riguarda l’innalzamento temporaneo di soglia si distinguono:
1) gli spostamenti temporanei di soglia che si esauriscono entro i primi 2 minuti e corrispondono all’adattamento uditivo o fatica perstimolatoria;

2) gli spostamenti temporanei di soglia di durata maggiore, corrispondenti alla fatica post-stimolatoria che possono essere di tipo fisiologico o patologico a seconda che si esauriscono o meno in circa 16 ore. (tab 1).

L’adattamento, rappresentando un meccanismo di protezione cocleare, si manifesta come una diminuzione di sensibilità, dovuta ad una disfunzione transitoria dei recettori cocleari, che cessa al termine della stimolazione.

L’adattamento è massimo alla frequenza del suono affaticante.
La fatica post-stimolatoria si manifesta invece con una deriva della soglia che raggiunge il suo massimo ad una frequenza 0,5 — 1 ottava al di sopra di quella del suono stimolante.

TAB.1

Oltre a quelli citati, sono stati evidenziati altri legami tra le caratteristiche fisiche del suono stimolante (intensità, spettro, durata, ecc.) e le caratteristiche del TTS (valore, evoluzione temporanea, recupero, ecc.).

Essendo il TTS l’espressione caratteristica della fatica uditiva, è sembrato logico ricercare rapporti tra fatica e TS corrispondente da un lato, e suscettibilità individuale dall’altro.
L’ipotesi di base è che un individuo che presenti una faticabilità anormale, evidenziata attraverso un TTS anormale, dovrebbe essere più suscettibile al traumatismo acustico cronico.
Su tale premessa sono nati svariati tests di suscettibilità basati sul grado di fatica indotto da una stimolazione sonora. I parametri considerati sono essenzialmente l’entità dello spostamento della soglia e/o il tempo di recupero, ossia il tempo necessario affinché essa ritorna a valori prestimolatorii.

L’esecuzione del test consiste nella ricerca dei valori di soglia per la frequenze 2-3-4 kHz con tecnica discendente a valori di attenuazione di i dB.
Si invia quindi ad un solo orecchio un rumore a banda, centrato su 2 kHz a 90 dB EM (110 dB SPL) per 10 minuti primi, che lascia anche dei temporanei acufeni.
Dopo 2’ di ridetermina la soglia, sempre con i dB di attenuazione, a 2-3 e 4000 Hz. La rilevazione si ripete dopo 5’ e se non si è avuto un completo ritorno ai valori precedenti di soglia, si procede ad un successivo controllo ogni 5’.

In genere il recupero avviene entro 5-10’ a seconda le frequenze e gli acufeni scompaiono in circa 30 secondi.

PROVE DI FATICA UDITIVA

Prova di Peyser

Prova del mascheramento interrotto di Bocca

Test dell’assordamento di Peyser

Vediamo ora molto brevemente il test di Peyser che è uno dei test di affaticamento più impiegati. Si misura dapprima la soglia per via aerea della frequenza prescelta, per esempio 1000 Hz; si effettua un affaticamento delle vie uditive mediante un tono puro di 1000 Hz, di intensità 100 dB, per la durata di 180 secondi. Si fa riposare il soggetto per 15 secondi (tempo di recupero), si rileva la soglia per via aerea per quella frequenza cioè 1000 Hz. Dopo aver fatto riposare il paziente almeno per un’ora si può esaminare la via ossea. Si determina prima la soglia per via ossea a 1000 Hz, quindi si effettua un affaticamento per via aerea con un suono di 1000 Hz a 100 dB per 180 secondi. Si interrompe il suono per 15 secondi (tempo di recupero) e si rileva la soglia per via ossea, sempre relativa ai 1000 Hz. I risultati possono essere classificati in questo modo: un soggetto normale avrà un deterioramento di soglia soltanto da O a 5 dB; un soggetto dubbio, sospetto, avrà un peggioramento della soglia fra i 5 e i 10 dB; sarà un affaticamento patologico quello rivelato da uno slittamento della soglia superiore a 10 dB. , è lecito ipotizzare una particolare suscettibilità dell’orecchio al rumore. Il test di affaticamento viene spesso impiegato in audiologia del lavoro, permettendo di valutare il grado di reversibilità di una alterazione cocleare in seguito ad esposizione a rumore e quindi di differenziare una perdita temporanea (TTS, Temporary Threshold Shift), da una perdita permanente (PTS, Permanent Threshold Shift).

Test del mascheramento interrotto di Bocca

E basato sul diverso effetto di mascheramento esercitato su un tono puro da parte di un rumore bianco con interruzioni periodiche, nelle ipoacusie neurosensoriali rispetto a quelle di conduzione e ai normoudenti.

Si presentano contemporaneamente alle stesso orecchio un tono puro di prova a 20 dB sopra la sua soglia ed un rumore mascherante bianco, interrotto con un numero di cadenze che va da 2 a 12 al secondo.: il soggetto normale riesce a percepire il tono puro durante le interruzioni del rumore bianco mascherante.

Nel soggetto con particolare predisposizione alla fatica uditiva il rumore bianco induce uno stress del recettore cocleare per cui questo negli intervalli non riesce a recuperare: il tono puro quindi non viene percepito. Occorre rallentare la cadenza delle interruzioni, allungando così l’intervallo fra le successive erogazioni del rumore bianco, per consentire la percezione del tono puro. In caso di recupero patologico il tono viene avvertito solo se il numero di interruzioni è inferiore alle 6 al secondo contro le 6-12 degli altri pazienti.

In genere nel paziente con affaticamento patologico il tono puro è percepito quando la cadenza delle interruzioni è inferiore a 6 al secondo.

Finora i risultati a distanza di questi test sono risultati deludenti, in quanto non è stato possibile costruire delle attendibili previsioni della PTS in base a quanto emerso dai rilievi della TTS e dei tempi di recupero.

E’ lecito supporre che migliori risultati saranno ottenuti dal confronto della TTS in curve teoriche ottimali e in curve reali ottenute nel singolo individuo, con esposizione a rumore avente le caratteristiche del rumore ambientale. Solo in questo modo si terrà in giusto conto l’aspetto dinamico, che nell’affaticamento è, alla pari con la sensibilità individuale, parametro basilare di studio e di giudizio predittivo.


SISI (Short Increment Sensitivity Index) I APPROFONDIMENTO

Dalla seconda edizione del Manuale di Audiologia Clinica ci sono state poche nuove ricerche sul test SISI (Short lncrement Sensitivity Index). Ciò è dovuto, in parte, all’aumento di interesse negli indicatori non comportamentali della sede della lesione uditiva, come le risposte elettriche troncoencefaliche (ABR) e il riflesso acustico (AR). Nondimeno, il SISI apparentemente continua ad essere un test popolare poiché è spesso rapido, stabile e flessibile. Questo capitolo fornisce il materiale di base, le applicazioni e le variazioni del SISI test.


LA SOGLIA DIFFERENZIALE  D’INTENSITÀ

Per delle ragioni che diventeranno evidenti in seguito, non è logico discutere del SISI test senza menzionare il recruitment. A partire dalle osservazioni di Dix et al (1948) che correlavano il recruitment alla patologia cocleare, l’audiologo è stato in grado di stabilire con un certo grado di sicurezza che la presenza di recruitment indica un disturbo cocleare.

La soglia differenziale per l’intensità (DLI -Difference Limen for Intensity) è il più piccolo cambiamento nell’intensità di un tono puro che può essere appena individuato. E’ normale per persone di udito normale avere delle difficoltà nel distinguere piccole variazioni in intensità vicine alla soglia. All’aumentare di intensità il DLI diminuisce. Sembra esserci una forte relazione tra la capacità di distinguere piccole variazioni di intensità a livelli di sensazione (SL) relativamente bassi e la presenza di recruitment. Molti cimici hanno stabilito che una piccola DLI è un segno indiretto di recruitment, e altri hanno stabilito che la DLI e i test diretti per la misura del recruitment sono in rapporto con fenomeni patologici.

Lüscher e Zwislocki (1949) svilupparono un test DLI che godette di un’ampia popolarità per un certo periodo. In questo esame al paziente ,che ascolta un tono puro a 40 dB sopra la soglia  gli viene chiesto di indicare quando la modulazione di ampiezza del segnale stazionario da un suono pulsante. Si è stabilito che quei pazienti che sono in grado di individuare piccole variazioni di intensità (una piccola DLI) hanno delle lesioni cocleari. Il test di Luscher-Zwislocki era perciò un test di discriminazione di loudness, Lund-Iverson (1952), utilizzando la tecnica Luscher-Zwislocki, concludeva che essa realmente rivelava il recruitment.

In una procedura d’esame sviluppata da Denes e Naunton (1950) veniva richiesto ai pazienti di riferire una differenza nella loudness di due suoni simili presentati l’uno dopo l’altro. Questo era in parte un esame di memoria di loudness. I livelli di presentazione del segnale erano di 4 dB SL e 44 dB SL. Il punto di interesse di questo test non era la grandezza della DLI (in dB) ma la differenza nelle dimensioni delle DL tra i due livelli. Soggetti normoudenti avevano delle grandi differenze tra i due livelli mentre quelli con lesioni cocleari mostravano differenze molto piccole.
Nella sua modifica del test DLI di LüscherZwislocki Jerger (1952) utilizzò una presentazione a 15 dB SL. Egli trovò che questa consentiva una buona distinzione tra orecchi reclutanti e non reclutanti. Il secondo test DLI di Jerger (1953) era simile a quello di Denes e Naunton ma confrontava la grandezza dei DL a 10 e 40 dB SL. Veniva utilizzato un segnale che modulava in intensità e veniva richiesta ai paziente di indicare il livello più piccolo a cui le variazioni di intensità potevano essere individuate. Questo test fu chiamato da Jerger differenza della soglia differenziale (DLD- Difference Limen Difference) Permettendo ai soggetti di servire come normativa di se stessi il test eliminò alcune delle difficoltà imposte dalla variabilità intersoggettiva del compito del DLI.

Confrontando i risultati del test di Lüscher-Zwislocki con il test ABLB (Alternate Binaurai Loudness Balance) per il recruitment, Konig (1962) trovò che i due test fornivano informazioni identiche nella maggior parte dei casi riguardanti la presenza o l’assenza di recruitment. interessante, alla luce dei dati sopra riportati, il fatto che Hirsh et al (1954), utilizzando una modifica del test di Denes-Naunton, ottennero risultati opposti a quelli di altri ricercatori, non trovando chiare differenze tra orecchi con e senza recruitment rispetto alla capacità di giudicare piccole variazioni di intensità. Le ragioni di questi dati differenti non sono completamente chiare.
Un indicatore dell’interesse per il test DLI negli anni 50 è dato dal numero di audiometri commerciali allora disponibili che permettevano l’esecuzione di questo test variando il grado di modulazione dell’intensità di un suono. Alla fine degli anni ‘50 l’uso del test DLI iniziò a diminuire a causa delle difficoltà nell’esecuzione dell’esame. Harris (1963) pensava che certi soggetti richiedessero un tempo notevole per apprendere il compito della DL. Molti soggetti non riuscivano a capire il concetto di un suono che varia leggermente di loudness mentre altri immaginavano queste variazioni quando non esistevano. Senza dubbio criteri interni stabiliti dai singoli soggetti hanno l’effetto di confondere la corretta esecuzione di tale esame.

INTRODUZIONE AL SISI TEST

Nel 1959 Jerger et al presentarono il SISI come un approccio diverso alla misurazione della capacità dell’orecchio di individuare piccole variazioni di intensità. In questo test un tono puro viene inviato al paziente ad una SL di 20 dB e un piccolo aumento di intensità è sovrapposto al suono costante ad intervalli periodici. La grandezza di questo incremento viene variata da 5 a 1 dB. Jerger et al trovarono che la capacità di individuare gli incrementi di 1 dB era limitata ai pazienti con patologia cocleare. Al contrario, questa capacità era assente nei soggetti normoudenti o con perdite uditive trasmissive o retrococleari. Ciò che più importa, l’esame era facile da condurre e meno confuso dei test DLI per molti pazienti.

 La metodica SISI ovviamente differisce dai classici test DLI per il fatto che non viene esplorata l’esatta DLI del paziente. L’incremento di 1 dB esamina la capacità della coclea di rispondere ad un segnale transitorio di piccola ampiezza. Sembra che le coclee patologiche aumentino questa capacità mentre così non si comportano le lesioni di ogni altra parte dell’apparato uditivo. Dati ottenuti con test diagnostici per la funzione cocleare come ABLB, DLI, AR, audiometria automatica, le curve di discriminazione vocale per parole foneticamente bilanciate, così come il SISI test, possono essere altamente correlati con tutti gli altri nei casi di lesione cocleare. Questo non significa che questi test stiano necessariamente misurando lo stesso fenomeno.


ESECUZIONE DEL SISI TEST

Nella loro relazione originale .Jerger et al (1959) raccomandavano che il tono portante fosse presentato all’orecchio del paziente a 20 dB SL. Ogni 5 sec viene sovrapposto un breve incremento, partendo con incrementi di 5 dB. Il segnale ha un on-off di 50 msec e 5 sec di pausa tra gli incrementi (Fig. 15.1). Il paziente viene istruito ad indicare se ha sentito un breve «salto» nella loudness del suono. Dopo circa 5 ditali variazioni l’entità dell’incremento è abbassata a 1 dB, segnando l’inizio del punteggio per il SISI test. Vengono presentati venti incrementi di 1 dB e al soggetto è richiesto di indicare quando è stato sentito ciascun incremento. Se viene udito un certo numero di incrementi consecutivi (circa cinque in una serie) l’esaminatore deve cancellare diversi incrementi così che possa essere accertato che il soggetto stia rispondendo alla variazione di intensità piuttosto che alla cadenza di presentazione dello stimolo. Se il paziente non risponde a diversi incrementi in una serie l’entità dell’incremento può essere aumentata per un nuovo apprendimento, per dare l’opportunità di concentrarsi sull’esame prima di tentare gli incrementi di 1 dB.

Figura 1S. Diagramma del segnale per il Short lncrement Sensitivity lndex, Il suono portante è presentato a 20 dB sopra il livello di soglia del paziente per la frequenza in esame. Ogni 5 secondi viene sovrapposto un incremento che raggiunge il massimo in 50 msec, rimane a quel livello per 200 msec e poi ritorna a 20 dB SL in 50 msec (Martin, 1981).,

In tal modo le risposte false positive e false negative al SISI possono essere ridotte al minimo.
La variazione repentina da 5 dB a 1 dB è spesso troppo improvvisa per permettere un adeguato adattamento del paziente al compito assegnato.’

Il procedimento raccomandato, che si effettua nella comune pratica clinica, è di iniziare con incrementi di 5 dB e, dopo aver ottenuto risposte, diminuire la grandezza dell’incremento a 4, 3, 2 e infine a 1 dB prima che si inizi con il punteggio del test (Harford, 1967). Un tale approccio alla metodica SISI è rappresentato in forma di diagramma di flusso in Fig. 2S.

 

Figura 2S Diagramma di flusso per la prestazione SISI.

Ci sono occasioni in cui un paziente può non rispondere ai primi incrementi di i dB e poi improvvisamente iniziare a dare risposte alle restanti presentazioni. In tali casi, l’esaminatore può scegliere di non considerare le risposte mancate iniziali e può permettere al paziente di raggiungere un punteggio più alto aggiungendo alla fine dell’esame il numero di incrementi perduti inizialmente (Harford, 1967). Come la maggior parte dei test, il SISI viene eseguito nel modo migliore con la pratica e l’esperienza. Sebbene Fulton e Spradlin (1972) abbiano dimostrato che in soggetti normoudenti, anche se i punteggi SISI tendono a migliorare con la pratica, le prestazioni si stabilizzano.

Il punteggio del SISI è ottenuto determinando il numero di identificazioni corrette dell’incremento di 1 dB dopo 20 presentazioni. Questo numero, moltiplicato per cinque, porta al punteggio SISI finale espresso in percentuale. Jerger et al (1959) raccomandavano che i punteggi SISI da O a 70% fossero considerati negativi, indicando un udito normale o una lesione retrococleare, mentre i punteggi tra 70 e 100% positivi, indicando la presenza di una lesione cocleare. Un’inchiesta effettuata presso un gruppo di audiologi autorevoli (Pennington e Martin, 1972) dimostrò che su 250 interrogati, 121 (48.4%) affermavano di considerare «alti» punteggi da 80 a 100%, mentre 139 (55.8%) consideravano «bassi» punteggi da O a 20%. L’ambito tra 25 e75% dovrebbe essere considerato non altamente diagnostico. Il SISI test mostra una relativamente buona coerenza per le frequenze standard d’esame con l’eccezione dei 250 Hz (Jerger, 1962a). Jerger (1973) revisionò la dipendenza dalla frequenza del SISI test stabilendo che, nei casi con disturbi cocleari, i punteggi sono bassi ai 250 e 500 Hz (da O a 20%); discutibile a 1000 Hz (dal 40 al 60%); e molto alti a 2000, 3000 e 4000 Hz (da 80 a 100%). C’è un accordo generale che nelle frequenze più acute il SISI test sembra differenziare efficacemente i pazienti normoudenti da quelli con ipoacusie neurosensoriali di origine cocleare quando il test è eseguito a 20 dB SL. Martin e Forbis (1978) riferirono che il 75% di 316 audiologi che avevano risposto a un questionario, esegue il SISI a 20 dB SL. Jerger (1962b) trovò che la capacità di individuare piccole variazioni nella loudness è una peculiarità dei disturbi della coclea.

La forte tendenza verso un tipo di risposta tutto o nulla al SISI test ha condotto Owens (1965) a concludere che il test può essere accorciato all’uso di 10 incrementi, assegnando un valore del 10% a ciascun incremento. Anche altri ricercatori (Griffing e Tuck, 1963; Yantis e Decker, 1964) trovarono una tendenza dei punteggi SISI a raggrupparsi agli estremi di un continuum e concludevano che il test può essere ridotto a IO incrementi in molti casi. L’esperienza clinica sostiene i suddetti dati. Se i punteggi sono nell’ambito tra O e 10% o tra 90 e 100%, si possono legittimamente presentare solo 10 incrementi. Per punteggi che cadono al di fuori di questi estremi, dovrebbero essere impiegati tutti e 20 gli incrementi per aumentare l’accuratezza della procedura.

È inutile dire che a meno che l’incremento SISI sia precisamente di 1 dB l’intera procedura è di scarsa utilità. Non è nota la frequenza con cui tale controllo di taratura sia fatto di solito nella pratica clinica, ma si può supporre che tali controlli siano compiuti meno frequentemente dei controlli del livello sonoro della via aerea e ossea e della vocale. In molti centri i controlli di taratura dell’unità SISI possono essere troppo poco frequenti.

Nel loro lavoro originale, Jerger et al (1959) mantennero il suono portante ad un dato livello e sovrapposero gli incrementi a questo livello. Mentre molti esaminatori probabilmente credono che questo sia il caso anche per la propria apparecchiatura, molti audiometri in realtà attenuano il livello del suono portante così che il livello massimo dell’incremento è lo stesso, a prescindere dalla grandezza dell’incremento. In altre parole, invece di aumentare il livello dell’incremento, un audiometro. può diminuire il suono portante della entità (in dB) dell’incremento scelto. Una variazione nel livello del suono portante quando si passa daun valore d’incremento ad un’altro può evocare una risposta del paziente prima che l’incremento sia presentato. Il clinico dovrebbe avere familiarità con l’apparecchiatura che utilizza ed essere a conoscenza delle corrette procedure di taratura. Sembra che la diminuzione del livello del suono carrier di 1 dB non abbia effetti sui punteggi SISI.

VARIAZIONI DÌ GRANDEZZA DELL’INCREMENTO

La popolarità della metodica SISI ha condotto a ricerche sui metodi di affinamento della sua precisione diminuendo l’entità dell’incremento.

Per esempio, Hanley e Utting (1965) esaminarono 48 soggetti con il SISI test utilizzando incrementi di1.0, 0.75 e 0.5 dB. Essi trovarono che molti soggetti normoudenti erano in grado di individuare piccole variazioni di intensità di 1 dB alle alte frequenze. Molti soggetti con patologia cocleare potevano udire variazioni fino a 0.5 dB. Essi raccomandavano che il SISI test fosse fatto con una grandezza di incremento di 0.75 dB per tutti i soggetti al fine di rendere il compito più difficile per le persone normoudenti e ancora possibile per i pazienti con ipoacusia cocleare.
In un modo simile al suddetto esperimento, Sanders (1966) eseguì il SISI test utilizzando incrementi di 1.0, 0.75 e 0.5 dB su 24 soggetti con udito normale e 9 con lesioni cocleari. Egli trovò che il SISI test distingueva più significativamente i due gruppi con un incremento di 1 dB che con altri di grandezza inferiore. La conclusione principale di questi studi fu che il SISI test dovrebbe essere eseguito utilizzando incrementi di 1 dB. Questo apparentemente è l’attuale consenso tra gli audiologi (Pennington e Martin, 1972; Martin e Forbis, 1978).

L’età può essere un fattore influente sulla risposta ad incrementi di1 dB al SISI. Otto e McCandless (1982) dimostrarono che i soggetti più giovani individuavano tali piccole variazioni di intensità in modo migliore rispetto alle loro controparti più anziane. La differenza tra i gruppi può essere dovuta a variazioni nelle vie nervose o alle difficoltà che i soggetti più anziani talvolta mostrano nel mantenere la concentrazione e l’attenzione.

SISI TEST MODIFICATI

Sono state proposte diverse modificazioni della metodica SISI da usarsi nella determinazione della patologia centrale rispetto a quella cocleare. Jerger et al (1969) suggerirono che l’apparecchiatura SISI potesse essere usata per effettuare funzioni psicometriche della discriminazione di intensità, cioè la percentuale corretta contro la grandezza dell’incremento. Le curve relative ai due orecchi possono differire nelle lesioni delle vie uditive centrali. Quando queste funzioni differiscono si può concludere che si ha una scarsa discriminazione d’intensità nell’orecchio opposto al lato cerebrale affetto.
Due casi di neurinomi dell’acustico confermati chirurgicamente senza alcuna apprezzabile perdita di udito nell’orecchio in esame sono riferiti da Thompson (1963). Il SISI test fu praticato a 1000 Hz utilizzando incrementi di 1 dB a 20 dB SL e poi ancora a 75 HL (hearing level). In ogni caso l’orecchio normale del paziente serviva come controllo rispetto al quale veniva confrontato l’orecchio interessato. Ad alti livelli di stimolazione entrambi i pazienti furono in grado di distinguere piccoli incrementi nell’orecchio normale ma non in quello affetto. Sembra che un orecchio con una lesione retrococleare sia incapace di reagire normalmente a piccoli incrementi di intensità anche ad alti livelli di sensazione. Hodgson (1967) citò un paziente con emisferectomia monolaterale che mostrava dei ridotti punteggi SISI ad alti livelli di intensità nell’orecchio opposto al lato affetto.

Koch et al (1969) confrontarono un gruppo di normoudenti con un gruppo di soggetti con ipoacusie neurosensoriale nel SISI test al livello standard di 20 dB SL e a diversi livelli più alti. I soggetti normali e quelli con patologia cocleare mostravano punteggi SISI elevati all’aumentare di intensità del suono portante. Cinque soggetti con lesioni retrococleari continuarono ad avere bassi punteggi SISI anche ad alti livelli. Il lavoro di Koch et al conferma i dati di Thompson (1963) che un SISI test modificato può essere proposto ad alti livelli di sensazione sonora (SL). Perciò utilizzando sia i SISI test standard che quelli modificati possiamo ottenere informazioni che separano non solo le lesioni cocleari da quelle retrococleari, ma anche le lesioni precocleari dalle retrococleari,
Come esame per le lesioni retrococleari, Cooper e Owen (1976) raccomandarono che il SISI fosse eseguito a 90 dB HL. Ciò avrebbe dovuto portare ad un punteggio alto se la patologia fosse stata cocleare, anche se la sordità fosse stata moderatamente grave. Anche a questi alti livelli le lesioni retrococleari dovrebbero mostrare dei bassi punteggi al SISI. Sanders e Josey (1978) riferirono che mentre i soggetti con lesioni del nervo ottavo non mostravano punteggi alti tra i 70 e i 75 dB HL, i punteggi erano elevati ad intensità più alte. A 90 dB HL il 17% dei loro pazienti con patologia del nervo ottavo passava da punteggi SISI negativi a positivi. Risultati simili furono riferiti da Sanders et al (1975).

Il consiglio più recente di Sanders (1982) è che il SISI test sia fatto a 20 dB SL se la perdita uditiva del paziente è maggiore di 60 dB e che, per perdite più lievi, dovrebbe essere fatto a 75 dB HL. Sebbene a 75 dB HL alcuni casi con lievi perdite cocleari possano non dimostrare un alto punteggio SISI, ciò evita di perdere i casi retrococleari (con punteggi che sono troppo alti). Martin e Forbis (1978) trovarono che tra i clinici interrogati e che usavano il SISI per valutare la sede retrococleare la maggior parte lo faceva a 70 dB SL.

La suddetta ricerca suggerisce che il SISI test può essere eseguito in almeno cinque modi:
1. Incrementi di I dB a 20 dB SL (il SISI test classico) — punteggi alti depongono per una lesione cocleare.

2. Incrementi da 2 a 5 dB a 20 dB SL — punteggi bassi depongono per una lesione retrococleare.
3. incrementi dii dB ad alti livelli sonori (p.es., 75 dB HL)— punteggi bassi suggeriscono una lesione retrococleare,

4. Incrementi di grandezza che variano da i a 5 dB a 20 dB SL — punteggi più bassi in un orecchio rispetto all’altro (quando le soglie sono circa uguali) suggeriscono una lesione centrale localizzata al lato opposto all’orecchio con i punteggi più bassi.
5. Incrementi di 1 dB a SL che variano da 20 dB ad alti livelli (circa 75 dB HL) a scatti di 10 dB per entrambi gli orecchi — una differenza nella percentuale a cui i punteggi aumentano suggerisce una lesione retrococleare. Il disturbo è situato dallo stesso lato dell’orecchio che non ha mostrato aumenti normali della discriminazione di intensità con loudness aumentata.

SPIEGAZIONI DEL FENOMENO SISI

La spiegazione originale del SISI test era basata sulla premessa che la coclea danneggiata desse un aumento della facoltà di individuare piccole variazioni di intensità. Questa aumentata capacità di discriminazione non si trova nelle lesioni pre- e retrococleari. Sono state suggerite altre teorie per spiegare i risultati SISI ottenuti in pazienti con varie lesioni trasmissive e neurosensoriali. Vengono ora discusse alcune di queste spiegazioni.

Swisher (1966) utilizzò la metodica SISI per determinare la DLI per un suono a 2000 Hz a intensità che variavano da O a 100 dB HL. I soggetti da lei studiati comprendevano 20 normoudenti e 20 soggetti con perdite uditive di origine cocleare. I punteggi SISI erano molto più alti nel gruppo dei disturbi cocleari quando i dati erano calcolati come una funzione del SL. I punteggi SISI medi per il gruppo patologico erano molto alti anche quando il livello di presentazione era vicino alla soglia mentre il gruppo con udito normale richiedeva SL più alti per raggiungere punteggi confrontabili. Tuttavia quando i punteggi medi furono stampati in funzione del livello uditivo i risultati dei casi normali e cocleari erano molto simili. Fournier e Jirsa (1976) trovarono che soggetti normoudenti avevano punteggi SISI del 100% ad una media di 76 dB SL.

Una spiegazione fisiologica offerta per i dati di Swisher è basata sulla conoscenza che i neuroni con bassa soglia aumentano la loro frequenza di scarica all’aumentare del livello di pressione sonora più lentamente di quanto facciano i neuroni con alte soglie. Swisher si riferì al lavoro di Davis (1957) e suggerì che una volta che la soglia delle cellule ciliate interne è raggiunta, la capacità dell’orecchio di individuare piccole variazioni di intensità è marcatamente migliorata. Questa teoria dell’eccitazione duale suggerirebbe che nelle lesioni cocleari che mostrano alti punteggi SISI le cellule ciliate interne non sono state lese. Il dato istologico in diversi casi di malattia di Ménière (Hallpike e Hood, 1959) mostrava che le cellule ciliate interne non venivano risparmiate specificatamente.

Furono condotti due esperimenti che riguardava- no il rapporto tra il livello uditivo di un suono standard e la sensibilità ad una variazione di intensità al SISI test (Swisher et al, 1966). Nel primo esperimento, i punteggi SISI furono espressi come funzione della SL standard di 20 dB a cui il SISI test è normalmente effettuato. Nel secondo esperimento, le misurazioni furono fatte su pazienti con perdite uditive neurosensoriali in relazione ai loro punteggi SISI e alla variabilità del punteggio in un gruppo di soggetti normoudenti. I risultati indicavano che il punteggio SISI è influenzato sia dal livello (HL) del suono portante che dalla normale variabilità nella sensibilità differenziale.
Dato che la DLI era considerata da molti come un test indiretto per il recruitment, e dato che il SISI è una modifica dei test DLI, si è diffusa l’opinione che il SISI sia un test indiretto per il recruitment. Per chiarire il rapporto tra la loudness e i punteggi SISI Martin e Salas (1970) fecero uno studio su soggetti con patologia cocleare monolaterale. Fu selezionato un livello nell’orecchio normale uguale in loudness per il SISI a 20dB SL nell’orecchio malato. I due orecchi dettero diversi punteggi SISI, Invertendo questo approccio, fu determinato un livello nell’orecchio peggiore uguale in loudness a 20 dB SL dell’orecchio migliore e furono ottenuti i punteggi SISI nei due orecchi, ancora con risultati diversi. Comunque, quando furono usati gli stessi SPL in ciascun orecchio (uguale a 20 dB SL nell’orecchio peggiore) risultarono punteggi SISI uguali. La conclusione è che quando il SISI test viene condotto tra 55 e 65 dB sia in orecchi normali che con ipoacusie cocleari risulta un punteggio alto a 4000 Hz, a prescindere dalla sensazione di loudness. Questo studio dimostra efficacemente che il SISI test non è un test indiretto per il recruitment.

Un’ulteriore evidenza degli effetti dell’intensità del suono è dimostrata da Harbert et al (1969) che praticò il SISI test a diversi SPL in orecchi normali e con recruitment. Toni ,puri di 60 dB SPL o maggiori portavano a punteggi SISI positivi in entrambi i gruppi. Questo studio dimostra che soggetti normali e soggetti con recruitment percepiscono incrementi uguali ad uguali SPL.

Una spiegazione fisiologica del fenomeno SISI può essere ricavata dal lavoro di Eggermont e Odenthal (1974). Essi conclusero che il potenziale d’azione composto cocleare è formato dalla scarica sincrona di fibre nervose singole simultanee con il potenziale d’azione realmente formato da due picchi. Ciò apparentemente significa che esistono due popolazioni separate di unità neurali, una con un periodo di latenza più lungo dell’altra. La popolazione con latenza più breve ha una soglia più alta della popolazione con latenza maggiore. L’ambito dinamico delle due popolazioni è diverso. Questi autori affermano che la popolazione con la latenza più corta ha un numero di fibre nervose circa dieci volte maggiore della popolazione con latenza più lunga. Dato che stimoli modulati in ampiezza producono potenziali d’azione composti, l’ampiezza di questi potenziali dipende in parte dall’ammontare dell’aumento di intensità ma principalmente dal livello del suono continuo. Se il suono carrier del SISI giace nell’area sotto il valore di soglia per le fibre a latenza più breve l’incremento non sarà percepito. Se l’area stimolata è nella parte ripida della curva di input-output sono state stimolate le fibre a latenza più breve producendo un potenziale d’azione più grande, permettendo la percezione di piccoli incrementi. Ciò significa che l’intensità del suono portante determina le aeree della coclea che vengono stimolate e se viene raggiunto un livello abbastanza alto (p.es., 60 dB SPL) si ha un alto punteggio SISI. Conclusioni simili possono essere ottenute dalla relazione di Yoshie (1968).


SISI E DECADIMENTO DELLA SOGLIA TONALE

Quando un orecchio presenta un anormale decadimento tonale la soglia uditiva è elevata. Inoltre l’intensità di 20 dB SL del SISI test è abbassata in proporzione al grado di adattamento. Gli effetti del decadimento tonale sui punteggi SISI furono studiati da Bartholomeus e Swisher (1971) che trovarono che anche con un lieve adattamento (da 5 a 20 dB) i punteggi SIS1 possono essere ridotti. Inoltre si possono avere punteggi SISI più bassi anche in assenza di lesioni retrococleari , Ward (1973) riferì anche che se lo stimolo sostenuto diminuisce in loudness, l’SL diviene più bassa e il DLI più grande, diminuendo la probabilità della percezione dell’incremento di I dB al SISI test.

Il SISI test segue le stesse regole del DLI riguardo all’aumentata capacità di individuare piccole variazioni di intensità in funzione dell’incremento d’intensità, Young e Harbert (1967) trovarono che se la coclea riceve un segnale udibile di 60 dB SPL o più, si avrà un’alta percentuale di identificazioni corrette dell’incremento di 1 dB al SISI test a meno che l’orecchio non sia soggetto ad adattamento patologico. La mancanza di risposte al SISI fu notata nei casi di adattamento patologico a prescindere dall’intensità del suono. Alti punteggi indicano che l’orecchio sta funzionando come dovrebbe fare un orecchio normale con una equivalente SPL. Una bassa percentuale di risposta indica un adattamento patologico, dal punto di vista di Young e Harbert.

Hughes (1968) discusse di 18 soggetti con un adattamento patologico tale che il suono portante del SISI svaniva rapidamente fino a diventare inudibile. L’incremento di 1 dB era percepito come uno scoppio che sembrava emergere dal silenzio. La sua conclusione fu che il SISI test mantiene la sua validità nei casi cocleari anche con un insolito adattamento patologico.

La letteratura non è concorde riguardo agli effetti di un rapido adattamento perstimolatorio sui punteggi SISI. Nondimeno, se il SISI test è considerato necessario, in un caso particolare l’adattamento patologico non dovrebbe essere abbandonato a causa di un adattamento tonale positivo. Se i punteggi sono alti ciò fornirà informazioni utili. Se i punteggi sono bassi l’interpretazione può non essere chiara dato che la mancanza di risposta può essere dovuta all’adattamento al suono portante e non costituire una prova di patologia retrococleare.


IL SISI TEST E IL MASCHERAMENTO CONTRO LATERALE

Una considerazione sullo svolgimento del SISI test che ha interessato particolarmente chi scrive riguarda l’utilizzo o meno del mascheramento controlaterale. È appropriato mascherare durante ogni test uditivo quardo esiste il pericolo di una percezione crociata del segnale. C’è una possibilità che il segnale possa essere udito nell’orecchio non esaminato quando il suono portante del SISI, meno l’attenuazione interaurale per la frequenza in esame, è uguale o superiore alla soglia di conduzione ossea dell’orecchio non testato. È naturale chiedersi se il mascheramento controlaterale ha un effetto sui punteggi SISI dato che il mascheramento è usato per questa procedura solo in casi selezionati.

Blegvad e Terkildsen (1966) trovarono che il mascherare l’orecchio non esaminato esercita un’influenza sui procedimenti uditivi quando è coinvolto uno stimolo continuo. Nel caso del SISI test i punteggi tendevano a aumentare alle alte frequenz. Questi ricercatori (Blegvad e Terkildsen, 1967) in seguito esaminarono dieci soggetti normoudenti a 250, 1000 e 4000 Hz in presenza di rumore controlaterale a 0, 50, 70 e 90 dB SPL. I loro risultati non mostravano alcun effetto del mascheramento controlaterale a 1000 Hz, un aumento della discriminazione degli incrementi a 4000 Hz e una peggiore discriminazione a 250 Hz. I risultati a 4000 Hz furono spiegati con la interdipendenza neurale interaurale. L’aumentata difficoltà a 250 Hz può essere dovuta a riflessi dei muscoli dell’orecchio medio, dato che questo ridurrebbe efficacemente la SL del suono portante. Anche Shimizu (1969) dimostrò un miglioramento dei punteggi SISI nei normoudenti in presenza di mascheramento controlaterale.
La discriminazione dell’intensità uditiva a 2000 Hz fu studiata da Swisher et al. (1969) in soggetti normali utilizzando suoni portanti a livelli da 23 a 78 dB SPL. Questo fu fatto in presenza di rumore bianco o a dente di sega controlaterale che fu variato da O a 63 dB SPL. I risultati mostrarono che la discriminazione di intensità era significativamente migliorata in entrambi gli orecchi con l’uso del mascheramento controlaterale quando i suoni portanti erano a 38 dB HL o più. I DL per l’orecchio sinistro erano significativamente più piccoli di quelli per l’orecchio destro con o senza il rumore. Questa differenza apparente nella capacità di percepire piccole variazioni di loudness tra l’orecchio destro e il sinistro sembra essere ignorata nella pratica clinica, in parte a causa dell’apparente mancanza di ripetibilità di questi risultati.

Le risposte evocate corticali furono ottenute con segnali SISI in soggetti normali da Osterhammel et al (1970). Con un suono portante a 20 dB SL, il mascheramento nell’orecchio opposto aumentava le risposte agli incrementi di 2, 3 e 5 dB. Con il suono portante a livello di soglia nessuna risposta era vista con il mascheramento controlaterale, nemmeno con incrementi di 5 dB, e ciò è probabilmente dovuto a effetti di mascheramento centrale. Misurando i punteggi SISI in pazienti con sordità neurosensoriali monolaterali, Blegvad (1969) trovò che la discriminazione di intensità aumentava con il mascheramento controlaterale alle frequenze d’esame di 1000 e 4000 Hz. Nessuna variazione fu vista a 250 Hz. Blegvad concludeva che non si è vista alcuna reale compromissione del valore diagnostico del SISI quando si maschera l’orecchio controlaterale.

Nella sua revisione degli effetti del mascheramento sui DL per l’intensità, Studebaker (1973) afferma che «… solo infrequentemente le circostanze impongono la necessità del mascheramento per il SISI test», E difficile concordare con questa affermazione dato che la maggiore preoccupazione per la diagncsi di sede di lesione si verifica nei casi di sordità neurosensoriale monolaterale. Il fatto che il SISI test sia effettuato a livelli sopraliminari suggerisce che possa controlateralizzare anche se i segnali a livello di soglia non lo fanno, richiedendo l’uso del mascheramento per eliminare la partecipazione all’esame dell’orecchio non interessato.

Se il suono portante del SISI test può essere udito dall’orecchio non in esame, l’audiologo può inavvertitamente praticare un test binaurale piuttosto che monoaurale. Alfine di evitare questa possibilità, si dovrebbe usare il mascheramento. Dovrebbe essere intrapresa una procedura precisa che eviti gli sfortunati tranelli del sotto- o sovramascheramento nella maggioranza dei casi. L’uso del minimo mascheramento efficace raccomandato ovunque (Martin, 1981) sembra applicabile. Il livello di mascheramento efficace da usare nell’orecchio non in esame dovrebbe essere uguale all’intensità (HL) del suono portante meno l’attenuazione interaurale del paziente per la frequenza in esame (40 dB se questa non è nota) più il gap via aerea- via ossea dell’orecchio mascherato (Tabella 15.1). Ciò dovrebbe fornire un livello minimo di rumore sufficientemente elevato per evitare la partecipazione controlaterale al SISI test.


IL VALORE DEL SISI COME TEST DIAGNOSTICO

La ragione principale per eseguire il SISI test quella di avere un aiuto nella determinazione della sede di lesione lungo la via acustica, cioè per stabilire se un disturbo è cocleare o noncocleare. Vi sono dei dati contrastanti sull’efficacia del SISI ai riguardo.

Tabella 1.
Mascheramento per il SISI test

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­_______________________________________________________________
Quando mascherare: SISI HL — lA = BCntea

Livello di mascheramento efficace:

EM = SISI HL — lA + ABGnteb

_______________________________________________________________

a Mascherare quando il livello scelto per il SISI, meno l’attenuazione interaurale (lA) per il tono test è uguale o superiore alla soglia per via ossea (BO> dell’orecchio non testato.
b Il livello di mascheramento efficace (EM) è uguale al livello scelto per il SISI, meno l’attenuazione interaurale, più l’eventuale gap tra via aerea e via ossea (ABG) per la frequenza in esame dell’orecchio non testato,

A sostegno dell’utilità del SISI test Jerger (1961) riferì di 20 soggetti con malattia di Ménière che avevano tutti punteggi SISI positivi. Egli riferì anche di soggetti con neurinoma dell’acustico, 10 dei quali avevano punteggi SISI negativi e uno mostrava un punteggio dubbio. Vi sono molte altre affermazioni in letteratura a sostegno dell’opinione che alti puntèggi SISI indichino una patologia cocleare.
Esistono numerosi studi clinici in contrasto con questa apparente alta validità nel separare le sordità cocleari dalle retrococleari. Per esempio, Johnson (1966) trovò che su 163 pazienti con lesioni retrococleari confermate chirurgicamente, 23 avevano punteggi SISI positivi. Johnson (1977) in seguito sconsigliò l’uso del SISI in pazienti sospettati di avere un neurinoma dell’acustico. Sono presenti in letteratura molti dati simili di alti punteggi SISI in presenza di patologia retrococleare (Brand e Rosenberg, 1963; Shapiro e Naunton, 1967; Johnson, 1968; Owens, 1971).

Ci sono diverse spiegazioni per i punteggi SISI positivi nelle lesioni dell’Vili nervo cranico. Una variazione dell’apporto ematico alla coclea dovuta alla pressione sull’arteria uditiva interna da parte di un neurinoma dell’acustico può produrre un’ipossia cocleare provocando sintomi cocleari ai test uditivi (Perez de Moura, 1967). Inoltre, anche alterazioni della composizione dei fluidi endococleari causate da un neurinoma possono produrre dei segni cocleari (Benitez et al, 1967; Perez de Moura, 1967). Casi di neurinomi dell’acustico confermati chirurgicamente, sono stati utilizzati per illustrare i dati degli esami uditivi definiti come «tipicamente» retrococleari. Ci può essere (Hitselberger e House, 1966) o no (Maddox, 1971) una relazione tra la dimensione del tumore e i punteggi SISI, sebbene ci si aspetti generalmente che tumori più grandi diano punteggi più bassi.

Il valore diagnostico del SISI test dipende dall’entità della sordità che può avere un paziente. Bassi punteggi si hanno quando si esaminano pazienti con perdite cocleari lievi (Owens, 1965; Harford, 1967). Esaminando 40 soggetti normoudenti utilizzando tre diverse SL e otto diverse grandezze degli incrementi, Blegvad (1966) trovò che a bassi SL i punteggi SISI sono più alti alle alte frequenze rispetto alle basse frequenze ma a 40 dB SL i punteggi sono gli stessi per tutte le frequenze, un dato che potrebbe essere stato predetto dal precedente lavoro di Riesz (1928) sui DL per l’intensità. Il paziente con una sordità cocleare minore di 30 o 40 dB HL dà quindi un basso punteggio SISI per la stessa ragione per cui la dà persona con udito normale.
Sembrerebbe che in certi interessamenti del nervo VIII si possano vedere sintomi di patologia sia cocleare che del nervo VIII. L’audiologo dovrebbe essere messo sull’avviso dai sintomi del nervo VIII piuttosto che essere sviato dai dati cocleari. Esistono test positivi per disturbi cocleari e test positivi per disturbi retrococleari. Il SISI appartiene alla prima categoria, e dunque dati SISI negativi non costituiscono necessariamente un dato positivo retrococleare, proprio come punteggi SISI positivi non escludono la possibilità di un disturbo retrococleare. La fallibilità di affidarsi al SISI test come singolo strumento diagnostico è evidenziata ripetutamente in letteratura (Jerger, 1962c; Sanders, 1965; Menzel, 1966; Tillman, 1966; Hood, 1969; Katinsky et al, 1972; Carhart, 1973). Audiologi esperti affermano che il SISI test è diagnosticamente utile in quanto completa altri test uditivi nella differenziazione dei disturbi dell’orecchio medio, della coclea o del nervo VIII.

CONCLUSIONI
Gli ultimi anni non hanno portato molti contributi al SISI test. La maggior parte delle relazioni su questo test consistono in commenti clinici sulla sua efficacia diagnostica. Non c’è sicuramente unanimità d’accordo su questo argomento.

Non c’è alcun modo di sapere, ora, quanto i test nuovi uditivi stiano rimpiazzando il SISI come procedura di routine per la sede di lesione. Io tendo a concordare con Jerger (1973) che, considerando i più recenti e rapidi test che sono ora disponibili, come I’ABR e l’AR, il SISI, sebbene utile, possa essere meglio ritenuto come test di seconda istanza, da usare in caso di dati equivoci di altri test più definitivi. Una posizione più dura è presa da Owens (1979), che ritiene che il SISI «… non sia allo stato attuale un esame significativo e indipendente».

A dispetto del tono negativo del precedente paragrafo, il SISI resta un test popolare tra diversi cImici molto bravi, che ritengono abbia un considerevole valore diagnostico quando utilizzato attentamente e modificato per assecondare le necessità del singolo paziente. Gli audiologi hanno imparato attraverso l’esperienza che è imprudente contare pesantemente su qualsiasi procedura d’esame singola per fare una diagnosi di sede di lesione; il SISI non è un’eccezione a questa regola. È probabile che il SISI rimarrà nella batteria di test ancora per un certo periodo di tempo.

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ADATTAMENTO ( TONE DECAY TEST) II APPROFONDIMENTO

Decadimento Tonale

In anni recenti, il numero delle pubblicazioni sul decadimento tonale nella letteratura audiologica si è ridotto da un fiume a una goccia. Come ci si poteva aspettare continuano a venire ideati nuovi esami per la batteria retrococleare. Le novità della tecnologia, interagendo con l’attività di ricerca, continuano a fornirci strumenti d’esame raffinati e nuove possibilità di misura. Questi sviluppi costituiscono l’evidenza benvenuta della vitalità e della crescita della nostra professione. E per quanto riguarda l’esame del tone decay? Ha seguito la strada della risposta cutanea psicogalvanica, del test di Doersler-Stewart e del DLD (Difference Limen Difference)? Il tone decay è divenuto in pratica l’ultimo uccello dodo audiologico della nostra professione? La risposta all’ultima domanda è chiaramente «No!» poiché l’esame del tone decay è clinicamente vitale. Ci sono tre ragioni convincenti per questo: la sua efficacia, disponibilità e costo. Anche se ci possono essere esami più potenti nella batteria dei test retrococleari, il tone decay continua ad avere un forte valore diagnostico. Inoltre la strumentazione necessaria, un audiometro tonale, è relativamente poco costosa e prontamente accessibile, se non ubiquitaria. Gli audiometri tonali si trovano non solo nei centri audiologici ma anche nelle scuole, nelle case di convalescenza, nelle case per gli anziani e negli ambienti industriali. L’esame del tone decay perciò continua ad avere merito sia come procedura diagnostica che di screening per le lesioni retrococleari.
In questo capitolo sarà passata in rassegna la storia della misurazione del tone decay, e la terminologia ad essa associata. Saranno discusse anche le tecniche di misura e di interpretazione.
Un tone decay anormale è un sintomo associato a lesioni retrococleari. Si può avere un tone decay al limite anche quando le soglie tonali sono lievemente o moderatamente innalzate. Come risultato, una valutazione affrettata può sottostimare la potenziale gravità della condizione. L’audiologo dovrebbe tenere a mente che un tone decay anormale può essere causato da patologie che, se non trattate, possono portare a orte il paziente. Allo stesso tempo, si deve avere la prudenza di non fare l’illegittima supposizione che la presenza del sintomo sia l’evidenza chiara di una lesione pericolosa per la vita.


TERMINOLOGIA
Nella pratica clinica il tone decay viene misurato sia a un livello vicino alla soglia (threshold tone decay) o ben al di sopra della soglia (suprathreshold tone decay). Il threshold tone decay viene definito come una diminuzione della sensibilità di soglia data dalla presenza di un suono appena udibile. Il decadimento sopraliminare si riferisce alla perdita di udibilità data da uno stimolo sonoro stimolante presentato ad alta intensità. Gli effetti perstimolatori sono quelli che si verificano mentre il suono affaticante è presente e quelli poststimolatori sono in rapporto alle misurazioni che vengono fatte dopo la cessazione del suono affaticante. L,a terminologia del tone decay spesso si riferisce allo spostamento di soglia temporaneo TTS (Temporary Threshold Shift) che viene messo in contrasto con lo spostamento di soglia permanente PTS( Permanent Threshold Shift)  che si incontra dopo molti anni di esposizione ad alti livelli di rumore .

La terminologia e le metodiche usate per le misurazioni del tone decay sono materia confusa per i neofiti (Kos, 1955; Hood, 1956; Carhart, 1957). Flottorp (1963) attribuisce al dizionario di Webster una definizione generale della fatica perstimolatoria o, per i nostri propositi, del tone decay, «condizione di cellule od organi che sono stati sottoposti ad attività eccessiva con esito in una perdita di potere o capacità di rispondere alla stimolazione». Per certi tipi di patologia anche i livelli di soglia possono essere «eccessivi». Studiando la letteratura sul tone decay è opportuno prestare molta attenzione alle metodiche usate per la misurazione. La regola da seguire nella lettura è che ogniqualvolta siano usate le stesse metodiche per misurare il fenomeno in questione, possiamo chiamarlo tone decay a prescindere dalla terminologia dell’autore.

STORIA DEL TONE DECAY

È una credenza comunemente accettata ma non precisa che l’osservazione del tone decay sia una scoperta recente. Il tone decay è stato riportato a partire dal diciannovesimo secolo (Rayleigh, 1882; Corradi, 1890; Gradenigo, 1893). L’interesse attuale nel tone decay è perciò più nel regno della riscoperta.
Storia remota

È stata accreditata a Lord Rayleigh la prima dimostrazione preelettronica del tone decay (W. D, Ward, comunicazione personale, 1970). Utilizzando un pallone pieno di gas per alimentare un richiamo per uccelli che manteneva un suono ad alta frequenza, Rayleigh notò che il suono presto scompariva (decadeva). Tuttavia osservò anche che una breve interruzione, semplicemente muovendo la mano davanti all’orecchio, era sufficiente a riportarlo alla coscienza. Ward riferì di Corradi che nel 1890 dimostrò che il tone decay si verifica nella conduzione ossea. Corradi trovò che se, dopo la scomparsa del suono, il diapason veniva tolto dalla mastoide e poi rimesso velocemente, alcuni dei suoi pazienti erano in grado nuovamente di udirlo.
Gradenigo osservò che i pazienti con tumori dell’acustico rispondevano a un diapason in vibrazione massima solo per pochi secondi. Nel 1893 notò che in questi casi un suono inizialmente forte scompariva rapidamente (Reger e Kos, 1958). Dunlap (1904) fu uno dei primi ad usare ausili elettromagnetici nello studio correlato all’off-effect frequentemente notato negli esami di tone decay. Dunlap aveva dei soggetti sperimentali che ascoltavano suoni «emessi da un ricevitore telefonico» ad un’intensità vicina alla soglia. Il loro compito era di indicare quando il suono era presente e quando era assente. Quando il soggetto riferiva che il segnale non era udibile, Dunlap lo spegneva. Egli osservò che quasi la metà dei casi riferiva «di sentirlo cessare».

Storia attuale

Con il rinnovato interesse per il tone decay, furono impiegati per il suo studio sia gli audiometri convenzionali che quelli automatici . All’inizio c’erano delle questioni sul suo significato diagnostico, ma dato l’accumularsi di evidenze cliniche e sperimentali, divenne chiaro che le caratteristiche del tone decay potevano essere usate per aiutare la diagnosi delle lesioni retrococleari.

Studi con l’Audiometro Automatico di Bekesy. Subito dopo che Bekesy (1947) descrisse il suo audiometro, Reger e Kos (1952), utilizzando la strumentazione di Bekesy, osservarono la presenza di uno spostamento temporaneo di soglia anormalmente rapido in un soggetto affetto da tumore dell’ottavo nervo cranico. Questa scoperta portò ad un aumentato interesse nello studio del tone decay e a miglioramenti nelle tecniche di misura con l’audiometro standard e di Bekesy. A prescindere dall’uso dell’audiometria standard o di Bekesy, la differenziazione diagnostica tra lesioni retrococleari e altro è basata sulla presenza o assenza di un tone decay significativo.

Studi con I’ Audiometro Convenzionale. Schubert (1944), utilizzando un audiometro convenzionale, approntò una tecnica audiometrica per la misura del tone decay. Questa fu pubblicata in una rivista straniera durante la Il Guerra Mondiale, il che ritardò il suo riconoscimento e la sua applicazione. Seguendo Schubert, una quantità di ricercatori applicò l’audiometria tonale convenzionale alla misura del tone decay. Durante i continui miglioramenti, essi modificarono le tecniche esistenti per renderle conformi alle proprie osservazioni ed esperienze. Ciò causò una notevole variazione delle metodiche d’esame tra i diversi centri diagnostici.
Tra coloro che hanno descritto le tecniche audiometriche convenzionali per la misura del tone decay ci sono Hood (1956), Carhart (1957), Rosenberg (1958), Sorensen (1962), Green (1963), Owens (1964), Parker et al (1968), Bhatia et al (1969), Olsen e Noffsinger (1974) e Jerger e Jerger (1975). Verranno discusse in dettaglio alcune di queste tecniche.

METODICHE DI MISURA DEL DECADIMENTO TONALE MEDIANTE L’AUDIOMETRIA CONVENZIONALE

Le misure del tone decay sono effettuate solitamente con audiometri tonali convenzionali e possono essere eseguite per ogni frequenza disponibile. La quantità di tone decay in dB è solitamente uguale alla differenza tra la soglia iniziale e la soglia a cui l’esame è terminato. Le frequenze scelte per lo studio dipenderanno dallo stato uditivo del paziente e dalla preferenza dell’esaminatore. Alcune tecniche impiegano un breve periodo di riposo tra livelli successivi di stimolazione. Alcuni richiedono una risposta al «solo suono»; altri accettano una risposta a «qualsiasi suono», tonale o non. A causa delle variazioni nella metodica, i risultati finali spesso non sono confrontabili. Sono necessari studi più sistematici che confrontino i risultati finali di esami differenti su singoli pazienti con lesioni retrococleari. Nei paragrafi seguenti saranno descritte diverse metodiche di misura del tone decay. E stato fatto un tentativo di includere le caratteristiche essenziali di ciascuna basandosi su quanto è riportato in letteratura.

Schubert Tone Decay Test

Schubert (1944) utilizzò un audiometro convenzionale per misurare il tone decay. Con questa metodica era consentito al paziente di ascoltare un suono a 5 dB SL (se1sation level) fino alla scomparsa del suono. In seguito l’intensità veniva aumentata a salti di 5 dB senza interruzioni, fino a che veniva raggiunto un plateau oppure il limite massimo dell’audiometro impediva di seguire il suono che diminuiva.

Hood Tone Decay Test

Hood (1956) riferì una metodica più elaborata di tone decay che può essere descritta in cinque stadi.

I. Ottenere la soglia uditiva del soggetto per un suono interrotto.
2. Istruire il soggetto ad alzare un dito (o premere il bottone o alzare la mano) fino a che egli sente il suono e di abbassano se il segnale si attenua fino alla inudibilità.
3. Iniziare il test presentando il suono ad un livello di 5 dB sopra la soglia.
4. Se il soggetto segnala che il suono non è più udibile, spegnere il suono e consentire almeno 60 sec di riposo.

5. Aumentare l’intensità del suono di 5 dB e ripetere la procedura fino a raggiungere un’intensità che permetta una sensazione sonora «indefinitamente».

Carhart Tone Decay Test

Nel 1957, Carhart riferì una metodica per misurare il tone decay che fu sviluppata alla Northwestern University nel 1954. Il suo proposito era di «mettere a punto una tecnica che potesse essere applicata rapidamente nella tipica situazione ambulatoriale con un qualsiasi audiometro standard». Diversamente dal metodo di Hood, la tecnica di Carhart non prevede alcuna sosta tra livelli successivi di stimolazione. Il test prevede i seguenti passi.

1. Ottenere la soglia uditiva del soggetto per i toni interrotti.
2. Istruire il soggetto ad alzare un dito finché egli sente il suono e abbassano se il segnale diminuisce fino all’inudibilità.

3. Iniziare il test con il suono sostenuto sotto la soglia stabilita e poi salire di 5 dB senza interruzione fino alla risposta del soggetto.

4. Nel momento in cui il soggetto risponde iniziare a cronometrare il tempo. Se il suono viene udito per un minuto intero, terminare il test.

5. Sei! soggetto indica che non sente più il suono prima che sia raggiunto il criterio del minuto, aumentare l’intensità del suono di 5 dB senza interrompere il suono, riportare a zero il cronometro e iniziare a contare nuovamente un minuto. Si tiene una registrazione del numero di secondi per i quali il suono è rimasto udibile ad ogni livello di intensità.

6. Continuare ad aumentare il suono a passi di 5 dB come indicato fino a raggiungere un’intensità che permetta al soggetto di percepire il suono per un minuto intero. Per risparmiare tempo, Carhart suggeriva di fissare un termine arbitrario al test (per es., 30 dB SL) sopra il quale il test non necessita di essere continuato anche se il tono non è stato percepito per un minuto intero.

 La maggior parte degli esaminatori che usa il metodo Carhart inizia il test a livello di soglia o 5 dB al di sopra di questa. Tuttavia Olsen e Noffsinger (1974) suggerivano di iniziare il test a 20 dB SL. Nel loro studio su 20 pazienti affetti da tumore del nervo ottavo confermato chirurgicamente, il test di Carhart standard e la tecnica a 20 dB SL erano ugualmente sensibili nell’identificare le lesioni retrococleari. Essi riferirono che il test a 20 dB SL impiega un tempo minore e presenta un compito di ascolto più facile per il paziente. Gli autori sottolineavano l’importanza di richiedere una risposta alla «tonalità» in opposizione alla risposta ad «ogni suono» durante l’esame del tone decay.
Modifica 1min di Rosenberg del Carhart Tone Decay Test

Trovando il metodo di Carhart scomodo e causante perdite di tempo nei casi che mostrano un marcato tone decay, Rosenberg (1958) ha proposto una versione abbreviata del test. L’esplorazione per ogni dato suono è limitata ad un totale di 60 sec. Non è necessario tenere alcuna registrazione del numero di secondi in cui il suono rimane udibile per ogni livello di intensità.

 

1-4. Questi passi sono simili alla procedura di Carhart (sopra).

5. Se il  soggetto indica che non sente più il suono prima che sia passato un minuto, aumentare l’intensità del suono di 5 dB senza interrompere lo stimolo e senza fermare l’orologio.
6. Continuare in tale maniera aumentando il suono di 5 dB ogni volta che il suono diviene inudibile. Al termine dei 60 sec, il suono viene spento e viene calcolato l’ammontare del tone decay in dB.


Green Modified Tone Decay Test (MTDT)

Nel 1960, Green osservò che alcuni pazienti con lesioni retrococleari provavano una perdita di percezione della tonalità prima della perdita dell’udibilità al tone decay test. Egli modificò le istruzioni date con la versione accorciata di 1’ del test di Carhart (Green, 1963). Il paziente è seduto in una poltrona e gli viene detto di mantenere il gomito a contatto con il bracciolo mentre sta segnalando. Viene allenato ad alzare il braccio perpendicolarmente al bracciolo se percepisce lo stimolo come tonale, di abbassarlo ad un angolo di 45° se lo stimolo perde tonalità ma rimane udibile e di abbassarlo alla posizione di riposo se il suono diviene completamente inudibile. Il paziente è avvertito di non spostare le cuffie o masticare durante l’esecuzione dell’esame, dato che la più piccola interruzione nella continuità dello stimolo può alterare la validità del test. Si è ritenuto di aumentare la sensibilità del test richiedendo una risposta alla percezione di tonalità.

Il cambiamento soggettivo nella qualità di un tono puro che diviene un rumore senza tonalità, che fu notato da Green, è stato chiamato perversione tonale da Parker et al (1968). Pestalozza e Cioce (1962), Sorensen (1962), Flottorp (1963), Harbert e Young (1964), Johnson (1966), Sung et al (1969) e Olsen e Noffsinger (1974) si sono pure imbattuti in questo fenomeno e ne hanno tenuto conto durante lo studio del tone decay. Tuttavia in una vasta indagine con questionario inviato ad audiologi, Martin e Forbis (1978) trovarono che solo il 22% di coloro che risposero chiedeva informazioni circa la perdita di tonalità durante l’esecuzione di un tone decay test.
STAT (Suprathreshold Adaptation Test) di Jerger e Jerger

Lavorando all’interessante ipotesi che i sintomi di un tone decay anormale appaiano per primi solo alle più alte intensità sonore esaminabili, Jerger e Jerger (1975) proposero un tone decay test sopraliminare semplificato. Le frequenze d’esame sono 500, 1000 e 2000 Hz, e la tecnica prevede le seguenti tappe.

1. Il paziente viene istruito a segnalare finché sente il suono nell’orecchio esaminato. L’orecchio non in esame è mascherato con rumore bianco ad un livello di 90 dB SPL.

2. Viene presentato un suono test continuo a 500 Hz a 110 dB SPL fino a che il paziente segnala che non sente più il suono o fino a che sono trascorsi 60 sec, qualsiasi delle due condizioni avvenga prima.

3. Se il paziente ha risposto per tutti i 60 sec alla frequenza d’esame, il test è considerato negativo.

4, Il test è considerato positivo se il paziente non ha risposto per tutti i 60 sec.
5. Per assicurarsi che il paziente abbia afferrato la natura essenziale del compito uditivo, il suono test viene fatto pulsare per 60 sec. Se il paziente segnala che ha sentito il suono pulsato ma non quello continuo per 60 sec, è probabile che risponda al test in modo adeguato.

6. L’esaminatore può allora esaminare i 1000 e 2000 Hz, come mostrato nei punti da 1 a 5.

Dato che molti audiometri sono calibrati in HL (hearing level) piuttosto che in SPL, i livelli di stimolo di 110 dB SPL specificati dagli autori dovrebbero essere convertiti in HL per renderli coerenti con l’intensità di calibrazione audiometrica.

Approssimativamente, i livelli uditivi equivalenti ai livelli di 110 dB SPL sono: 500 Hz = 100 dB HL, 2000 Hz = 100 dB HL e 1000 Hz = 105 dB HL.

Owens Tone Decay Test

Nel 1964, Owens pubblicò dei dati sulla modificazione della tecnica di Hood che incorporava un periodo di pausa di 20 sec tra le presentazioni dello stimo lo Egli fornì sia la quantità di tone decay (fino a 20 dB SL) e l’andamento del tone decay (in secondi) a livelli successivi per distinguere i tipi normali, cocleari e retrococleari. La Tavola 16.1 mostra l’interpretazione della variazione di Owens.

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI D’ESAME

Il tone decay test è una potente procedura diagnostica per la patologia retrococleare (Clemis e Mastricola, 1976; Johnson, 1977; Cacace, 1981). Tuttavia è solo uno degli esami della batteria audiologica e medica utilizzata per stabilire questa diagnosi. Perciò il proposito del tone decay test dovrebbe essere quello di identificare le persone con una sospetta patologia retrococleare e di permettere una adeguata richiesta di ulteriore conferma e diagnosi.

Classificazione

A dispetto dell’ampio uso dei tone decay test, i sistemi di classificazione sono comparsi raramente in letteratura . Rosenberg (1958) escogitò una scala di gradazione clinicamente utile basata sul numero di dB di tone decay derivanti dall’applicazione della sua procedura. Egli utilizzava i seguenti criteri.

Tabella 1

Esempi di modalità di decadimento tonale 1


1 I numeri nella tabella rappresentano il tempo in secondi durante il quale il suono è stato udito all’intensità indicata prima di divenire inudibile, Fu effettuata una sosta di 20 secondi tra gli incrementi di 5 dB (voce bibliografica).

Da   0 a   5 dB – Normale   Da 10 a 15 dB –  Lieve

Da 20 a 25 dB – Moderato Da 30 dB in poi – Marcato

Rosenberg mise in evidenza che dei livelli da lievi a moderati di tone decay si potevano vedere frequentemente iella patologia interessante l’organo del Corti, mentre un tone decay marcato quasi sempre indicava una patologia retrococleare. Glasscock (1968), utilizzando la medesima tecnica d’esame, concordava sul fatto che un tone decay test era positivo quando era presente un decay di almeno 30 dB. Tillman (1969) sostenne la procedura più lunga di Carhart ma era d’accordo che i pazienti con lesioni retrococleari avevano tipicamente un tone decay che superava i 30 dB.
Da questa discussione si può vedere che non esiste un sistema standard di classificazione. Tuttavia, per il metodo di Carhart e le sue modificazioni, sembra esserci un qualche accordo sul fatto che un punto critico nella differenziazione tra patologia cocleare e retrococleare si verifica quando si raggiunge il livello di 30 dB di decay. Sarebbe pericoloso ritenere che chiunque abbia untone decay superiore a 30 dB abbia una lesione retrococleare o che tutti quelli con una quantità minore non l’abbiano. Il modo più utile di considerare il tone decay che raggiunge il valore dei 30 dB è che ogni dB di decay sopra i 15 dB dovrebbe alzare l’indice di sospetto sulla possibile esistenza di una lesione retrococleare.

Maggiore è il tone decay e il numero delle frequenze coinvolte, particolarmente le frequenze più basse, maggiore è la possibilità di una patologia grave. L’indice di sospetto dovrebbe alzarsi anche se il tasso di decay non diminuisce all’aumentare dell’intensità di stimolo. I pazienti con tumori dell’acustico frequentemente mostrano un tone decay estremo e spesso completo a tutte le frequenze. La dimensione del tumore sembra correlata con la severità dei sintomi. A sostegno di ciò, Johnson (1966), riferendosi a 73 pazienti, trovò una relazione positiva tra la dimensione del tumore e i risultati del Green MTDT. Un tone decay parziale o completo fu trovato nel 63% dei tumori classificati come grandi e solo nel 14% della categoria dei tumori piccoli.


Studi sulla Sede della Lesione

C’era in principio una certa confusione riguardo il significato diagnostico del tone decay. Hallpike e Hood (1951) enfatizzarono la distinzione tra la forte risposta iniziale dell’eccitazione uditiva, nota come effetto-on, e la progressiva riduzione dell’eccitazione per stimolazione prolungata. Essi descrissero pazienti in cui gli effetti-on dopo stimoli tonali erano normali, ma in cui il tone decay era insolitamente rapido. Quando il tone decay era accompagnato da un normale effetto-on lo si considerava associato con il recruitment e un’alterata funzione delle cellule ciliate dell’organo del Corti. Altri ricercatori hanno confermato che i pazienti con lesioni cocleari possono avere gradi da lievi a moderati di tone decay (Palva, 1957; Yantis, 1959; .Jerger, 1960; Sorensen, 1962; Rosenberg, 1969).

Quando l’accumularsi di evidenza clinica ha condotto alla scoperta che un tone decay marcato si trovava caratteristicamente in pazienti con lesioni retrococleari, il valore diagnostico del test aumentò significativamente (Lierle e Reger, 1955; Sorensen, 1962; Palva, 1964; Johnson, 1966; Rosenberg, 1969). 1 tests di decadimento poterono essere usati per aiutare ad identificare i pazienti con patologia retrococleare, spesso tumori dell’angolo pontocerebellare. Nella maggior parte dei casi, un tone decay anormale si trova dallo stesso lato del maggiore interessamento della lesione. Tuttavia sono stati riferiti casi in cui un tumore di un lato è stato associato con sintomi nell’orecchio controlaterale (Stroud e Thalmann, 1969; Katinsky e Lovrinic, 1969).
È stata posta l’attenzione sugli studi elettrofisiologici ritenendo che la sede di lesione e il fenomeno del tone decay potessero essere studiati negli animali da laboratorio. Le ricerche di Gisselsson e Sorensen (1959) sul guinea pig, Kiang e Peake (1960) e Ruben et al (1962) sul gatto non hanno evidenziato un adattamento significativo nei microfonici cocleari dopo aver indotto una lesione del nervo acustico. Ciò tenderebbe a suggerire che il tone decay non è un fenomeno cocleare. D’altra parte, Sorensen (1959) registrò i potenziali d’azione dal nervo acustico e trovò una riduzione poststimolatoria nell’ampiezza dopo stimolazione con toni puri e rumore a bassa intensità. I dati di Sorensen tendono a suggerire che il tone decay è un fenomeno del nervo ottavo. Ci si può chiedere tuttavia se gli studi elettrofisiologici qui citati siano sufficientemente attinenti ai fenomeni del tone decay per garantire di accettarli come prova definitiva. Come affermano Palva et aI (1967):


Non sappiamo ancora cosa fare per capire chiaramente cosa avviene elettrofisiologicamente, e dove, nei casi di adattamento pronunciato. Nessuno degli studi che misurano i potenziali cocleari o le risposte del nervo uditivo dopo stimolazione prolungata o dopo lieve danno del nervo hanno mostrato qualcosa di più di variazioni realmente minime, o non confrontabili con i dati clinici,

Negli esseri umani come pure negli animali da laboratorio, il tone decay è associato alla patologia del nervo ottavo. Una serie di casi visti alla Cleveland Clinic e descritti da W. P. Parker (comunicazione personale, 1970) consentirono una insolita opportunità di studiare il rapporto tra le misurazioni del tone decay e le lesioni del nervo acustico nell’uomo. I pazienti di questa serie erano affetti da emispasmo facciale, uno spasmo involontario del nervo facciale. Parte della tecnica neurochirurgica consisteva nel liberare il nervo nell’angolo pontocerebellare da ogni aderenza o altra a- normalità che poteva essere presente. I neurochirurghi separavano i nervi settimo e ottavo e retraevano delicatamente l’ottavo. Furono raccolti i test uditivi preoperatori e postoperatori, compreso il tone decay in una serie di questi pazienti. La maggioranza presentava una gamma di tone decay da una quantità moderata alle alte frequenze ad un tone decay completo a tutte le frequenze. La discriminazione verbale era approssimativamente proporzionale al tone decay, variando da una lieve diminuzione allo 0%. Pochi avevano soglie tonali normali con un tone decay severo a tutte le frequenze e una discriminazione verbale molto scarsa. Parker indicò che i neurochirurghi erano sicuri che non era stato provocato alcun danno al ponte, alla coclea o all’apporto ematico cocleare. In sostanza, questa sembrava essere una lesione selettiva dei nervi settimo ed ottavo con l’opportunità di valutare la situazione prima e dopo l’atto chirurgico.

Spiegazione del meccanismo del tone decay

La spiegazione del meccanismo del tone decay giace nel regno della speculazione. Tuttavia, esistono importanti dati clinici e di ricerca che possono risultare utili come ipotesi di lavoro fino a che non siano ottenute ulteriori informazioni. Come punto di partenza le osservazioni di Green forniscono un esempio di fenomeni specifici che necessitano di essere spiegati prima che sia accettata un’eventuale teoria. Quando si utilizza la MTDT di Green i pazienti riferiscono di provare tre tipi di fenomeni percettivi associati al segnale:

il suono affaticante perde sia di tonalità che in udibilità simultaneamente o quasi, (2) il segnale affaticante perde tonalità ma rimane udibile o (3) il suono affaticante perde apparentemente sia tonalità che udibilità, ma al momento in cui il suono viene interrotto il paziente diviene immediatamente consapevole che il segnale è stato tolto.
Davis (1962) sosteneva che il meccanismo del tone decay era probabilmente analogo alla inibizione di Wedensky dei nervi periferici. L’essenza del fenomeno è che se un breve tratto di nervo viene parzialmente narcotizzato, il primo di una serie di impulsi o forse u n’intera serie di impulsi con lunghi intervalli tra essi passerà con successo, ma una sequenza rapida non lo farà dopo il primo o dopo pochi impulsi. Supponendo una somiglianza tra il blocco neurale indotto farmacologicamente di Wedensky e la disfunzione parziale di un grande numero di fibre nervose da parte di una lesione retrococleare, Davis ipotizzò che il graduale rallentamento con la membrana basilare, è concepibile che lo stimolo iniziale possa affaticare le cellule nervose mentre trasmettono il suono test, dato che esse sono al punto di stimolazione massimale, ma che l’area adiacente grande e meno stimolata abbia una sufficiente riserva di fibre intatte per funzionare per un periodo di tempo aggiuntivo. La risposta dalla porzione circostante della membrana basilare poteva continuare ad essere percepita molto bene sotto forma di rumore udibile come nella condizione 2.

Harbert e Young (1964) citarono il caso di un paziente con sordità improvvisa con completo recupero per il quale furono raccolti i dati del tone decay a 1000 Hz durante il periodo di ricovero. I dati sostenevano la tesi che la perdita di tonalità ma non di udibilità indicasse una disfunzione minore che non la perdita di entrambe. Durante una fase iniziale del ricovero fu chiesto al paziente di rispondere a due tone decay test in successione. In uno fu detto al paziente di rispondere solo quando lo stimolo veniva percepito come tonale; nell’altro il paziente era istruito a rispondere quando percepiva lo stimolo, a prescindere dalla sua tonalità. Sebbene entrambi i test rivelassero tone decay, la quantità maggiore di tone decay fu misurata quando fu usato come criterio la perdita di tonalità. Più tardi, al continuare del recupero del paziente, la perdita di tonalità dovuta alla stimolazione liminare cessò e tutti i segni di tone decay scomparvero.
La condizione 3, in cui il paziente percepisce la cessazione del segnale, fu ritenuta da H. Sorensen (comuni azione personale, 1970) analoga ad uno dei tre effetti che possono essere osservati nei potenziali d’azione del nervo, chiamati «effetto-off», «effetto-on» e risposta sostenuta. Perciò I’(<effetto-off» fu ritenuto responsabile della reazione citata nella condizione 3. Mentre queste speculazioni sul meccanismo del tone decay sicuramente non esauriscono tutte le possibilità, si spera che servano a stimolare ulteriori ipotesi volte a stabilire una spiegazione teorica del tone decay test

APPLICAZIONE CLINICA DEL TONE DECAY

Dopo aver discusso alcuni degli aspetti storici, tecnici e teorici del tone decay, è il momento di considerare alcune questioni riguardanti la sua applicazione clinica. Quali forme di patologia retrococleare sono ad esso associate? Quando e in che modo dovrebbe essere applicato il test? Quali sono i tranelli? Come un tone decay anormale interesserà l’esito di altri test audiologici?

Patologia Associata al Tone Decay Anormale

Un tone decay anormale può essere provocato da degenerazione nervosa, infiammazioni e traumi, come pure da lesioni occupanti spazio come i tumori, che premono sul nervo acustico. Un elenco parziale delle cause dovrebbe comprendere: neurinomi dell’acustico, colesteatomi primitivi (cisti epidermoidi), neurinomi del settimo n.c., meningiomi (Johnson, 1966), insulti termici al nervo acustico (Harbert e Young, 1962a), sclerosi multipla, neurite parotitica, morbo di von Recklinghausen, sordità luetica acquisita, sindrome di Ramsay-Hunt, aneurismi intracranici, traumi cranici (Harbert e Young, 1968), atrofia del nervo acustico, pinealomi (Kos, 1955), neurinomi del nono n.c. (Naunton et al, 1968), atrofia cerebellare (Miller e Daly, 1967), malformazione di Arnold-Chiari (Rydell e Pulec, 1971), lesioni del tronco extra-assiali (Jerger e Jerger, 1974), e lesioni del tronco sopra il livello di ingresso del nervo ottavo o lateralmente alla linea mediana (Morales-Garcia e Hood, 1972) e lesioni del tronco superiore e inferiore (Katz, 1970).

La quantità di tone decay associato a molte delle patologie in causa tende a rimanere costante o ad aumentare. Tuttavia sono state notate delle eccezioni. Un tone decay reversibile è stato descritto nella neurite del nervo acustico, nella sordità improvvisa ad eziologia sconosciuta, nella sclerosi multipla, nei pinealomi e nei tumori cerebellari (Stroud e Thalmann, 1969), Tale serie impressionante di possibili eziologie dovrebbe sicuramente scoraggiare un giudizio diagnostico avventato basato esclusivamente su un dato positivo al tone decay.

Applicazione del Tone Decay Test

L’uso del tone decay test non necessita di essere confinato ad una singola situazione medica ma deve essere fatto con un giudizio clinico maturo ogni volta che viene intrapreso. Un tone decay anormale richiede una adeguata consulenza senza reazioni emotive. Dato che si raccomanda che tutti i pazienti con ipoacusie neurosensoriali siano sottoposti a un test di screening per il tone decay, sorge una domanda: Quale test dovrebbe essere usato? Dovrebbe essere il test di Carhart, di Rosenberg, di Green MTDT, il 20 dB SL di Olsen e Noffsinger, l’Owens, il Bekesy o lo STAT di Jerger?
Una serie di ricercatori ha studiato questo problema e le loro ricerche hanno aiutato a chiarire la nostra comprensione della efficacia relativa delle varie tecniche di identificazione delle lesioni retrococleari. Ciò è stato fatto confrontando le diverse procedure d’esame negli stessi soggetti.

Parker e Decker. Parker e Decker (1971) confrontarono i risultati al tone decay test ottenuti dagli stessi gruppi di pazienti utilizzando cinque diverse procedure. Gli autori conclusero dopo il confronto dei test di Carhart, di Bekesy a frequenza fissa e variabile e le modificazioni di Rosenberg e Owens che il test di Carhart dava maggiori informazioni diagnostiche circa l’entità, la percentuale di comparsa e la configurazione finale di un decay test anomalo rispetto agli altri test.

Il Carhart fu confrontato con il Bekesy a frequenza variabile in un gruppo di 10 pazienti con patologia retrococleare. Furono misurate le differenze tra i tracciati continui e interrotti e fu fatto un confronto dell’entità di decay ad ogni frequenza di esame confrontabile per i due test. Il successo nell’identificazione della anomalia retrococleare non era basato sui tipi convenzionali di Bekesy. Furono tuttavia citati due casi retrococleari, che generavano due pattern convenzionali di Bekesy di I o Il Tipo (non retrococleare) ma mostravano un decay estremo (retrococleare) al Carhart. In questi esempi, il test di Carhart indirizzava verso una diagnosi accurata mentre non era così per il Bekesy.La quantità di decay al Carhart contro il Bekesy a frequenza fissa fu studiato in 11 casi selezionati casualmente con «tone decay fortemente positivo». Il 68 Wo delle frequenze testate dava più tone decay al Carhart rispetto al test di Bekesy a frequenza fissa durante lo stesso periodo di tempo. Furono citati due casi che mostravano un tone decay da lieve a moderato con il Bekesy a frequenza fissa, ma un tone decay completo con la metodica di Carhart.

I test di Carhart e di Owens furono confrontati in 50 casi, selezionati a caso, di grave tone decay al test di Carhart convertendo poi i risultati nei tipi diagnostici cocleari e retrococleari di Owens. Dai 50 casi fu scelto un numero di esempi che mostrassero delle informazioni diagnostiche in conflitto. Per esempio, nove casi di tone decay completo (retrococleare) al test di Carhart davano dei Tipi II-D o TI-E di Owens (quadri cocleari o dubbi). Gli autori notarono che, sebbene una revisione dei loro tone decay test secondo Carhart indicasse che la rapidità del tone decay e la quantità totale del tone decay erano direttamente correlate in molti casi, c’era un numero significativo di casi in cui si aveva uno schema di tone decay lento nei primi quattro incrementi di intensità su cinque, seguiti da una velocità più rapida di tone decay sopra questo livello di intensità. Nell’ultimo caso si verificarono delle discrepanze tra i test di Owens e di Carhart e le maggiori anomalie del decadimento erano dimostrate dal test di Carhart. Naturalmente dato che la selezione dei soggetti si basava su dati severi al test di Carhart, i test di confronto non si potevano dimostrare migliori ma al massimo uguali al Carhart. Se i criteri di selezione si fossero basati semplicemente sulla sede di lesione, non è chiaro quale test sarebbe stato più sensibile.
In tale maniera Parker e Decker (1971) trovarono anche che il test di Rosenberg mancava di individuare il decay anormale in pazienti che mostravano un decay iniziale lento seguito da uno più rapido. Essi citarono un caso che dava 85 dB di tone decay al test di Carhart, ma solo 12,5 dB alla fine di un minuto (test di Rosenberg). Lo stesso paziente avrebbe dato un Tipo II-D (cocleare) al test di Owens secondo i dati convertiti dal Carhart. In una lettera all’editore che commentava l’articolo di Parker e Decker, Rosenberg (1971) concordava che, nei rari casi di tone decay ritardato, il test di 1 mm non lo avrebbe individuato, ma che nella grande maggioranza dei pazienti con provata patologia retrococleare, in 1 minuto potevano essere dimostrati più di 30 dB di tone decay.

Sanders et al. Sanders et al (1974) confrontarono 24 casi con conferma di tumore dell’acustico esaminati con il Carhart e Bekesy a frequenza variabile. Mentre il Bekesy identificava correttamente 18 dei 24 casi come retrococleari, il Carhart individuò tutti i 24 tumori dell’acustico. Perciò il Carhart individuava con successo 6 dei 24 casi retrococleari che erano stati persi dal Bekesy a frequenza variabile.

Olsen e Noffsinger. Olsen e Noffsinger (1974) eseguirono su 20 pazienti con tumori dell’acustico confermati i tone decay test di Carhart, di Rosenberg, la modifica 20 dB SL del Carhart e il Bekesy a frequenza fissa. Lo scopo della ricerca era confrontare i risultati dei test più affermati di tone decay con la propria metodica che seguiva il test di Carhart tranne il fatto che iniziava a 20 dB SL piuttosto che a livello di soglia. Fu ipotizzato che una procedura di tone decay che iniziasse a 20 dB SL sarebbe stata efficace per escludere le lesioni cocleari, che comunemente manifestano fino a 20 dB di tone decay. Allo stesso tempo, gli autori pensavano che il test sarebbe stato ancora efficace nell’identificazione delle lesioni del nervo acustico.

Nella esecuzione del test di Carhart veniva registrato il tempo in secondi. Per calcolare i risultati del test di Rosenberg era necessario solo sommare le lunghezze di tempo in secondi in cui il suono veniva percepito ad ogni livello durante il test di Carhart fino a che fossero raggiunti i 60 sec. La differenza tra il livello che veniva raggiunto in 60 secondi e la soglia fu preso come valore del decay misurato con la tecnica di Rosenberg. Dato che gli autori richiedevano una risposta alla «tonalità» in opposizione a «qualsiasi suono» il valore di decay mostrato in i minuto è equivalente anche all’MTDT di Green, che richiede una risposta alla «tonalità».

Furono ottenuti tracciati Bekesy a frequenza fissa. Furono definiti di I Tipo quando i tracciati di soglia erano sovrapponibili per i segnali continuo e interrotto, diii Tipo quando la soglia per il tono continuo era peggiore di quella con tono interrotto da 5 a 20 dB, di III Tipo quando la soglia per il tono continuo peggiorava stabilmente fino a raggiungere i limiti dell’audiometro senza che il suono fosse percepito anche alla più alta intensità disponibile e di IV Tipo quando i tracciati per i toni continuo e interrotto erano separati da più di 20 dB, ma la risposta al tono continuo era mantenuta. I Tipi II e IV erano basati sui consigli di Hughes et al (1967).

Per essere giusti con Jerger (1960), i cui quattro modelli originali furono basati sui tracciati interrotti e continui, si dovrebbe dire che ci sono alcune questioni sul fatto che i modelli a frequenza fissa siano equivalenti ai tipi prodotti con frequenza variabile. Jerger (1965) ha affermato che «il sistema di classificazione in modelli degli audiogrammi Bekesy non si è mai inteso applicarlo ai tracciati ottenuti con singole frequenze fisse». A dispetto di questa disputa di terminologia, il confronto della frequenza fissa con altre tecniche di tone decay sembra valido visto che le stesse frequenze furono esaminate da ciascuna delle tecniche di tone decay. L’audiometria Bekesy a frequenza fissa piuttosto che variabile fu scelta sulla base dei dati riportati da Owens (1964) e dell’esperienza clinica di Olsen e Noffsinger i cui tracciati a frequenza fissa spesso dimostravano un tone decay non evidente nei tracciati a frequenza variabile.

Con i metodi di Carhart, Rosenberg e dei 20 dB SL, un tone decay di 35 dB per una o più frequenze era considerato indicativo di un interessamento retrococleare. Anche i test di Bekesy a frequenza fissa, II e IV Tipo, come indicato dagli autori, furono considerati retrococleari. La precisione relativa di predizione della sede retrococleare fu determinata confrontando il numero di pazienti con lesioni retrococleari confermate che era stato identificato correttamente da ciascuno dei diversi test.

I risultati dello studio di Olsen e Noffsinger sono degni di nota. Diciannove tumori dell’acustico su 20 furono identificati correttamente con il metodo di Carhart e quando l’esame veniva iniziato a 20 dB SL. Solo un paziente, in seguito trovato affetto da un tumore dell’acustico, mostrava un decay di 30 dB o inferiore sia al Carhart che alla procedura dei 20 dB SL. In contrasto, solo 13 dei 20 pazienti con tumore dell’acustico furono identificati correttamente dal test di Rosenberg utilizzando il criterio di Olsen e Noffsinger dei 35 dB, Dato che non fu usato il criterio di Rosenberg dei 30 dB, non può essere fatto un confronto accurato per questa procedura.

I tracciati di Bekesy furono classificati come retrococleari di III o IV Tipo in 14 dei 19 pazienti con tumore dell’acustico. (Il test di Bekesy non fu eseguito in un soggetto.) Questo dava una percentuale di successo del 74% che era leggermente più elevata rispetto al test di Rosenberg (65%) ma significativamente inferiore al test di Carhart (95%) e al test dei 20 dB SL (95%).

Si ritiene che il test STAT descritto da Jerger e Jerger sia un potente test sopraliminare per le lesioni retrococleari. Turner et al (1984) utilizzando le tecniche di analisi della decisione clinica valutò la prestazione clinica dei test audiologici, compreso lo STAT, studiando la percentuale di successi contro quella dei falsi allarmi. Essi revisionarono i dati di 15 anni (dal 1968 al giugno 1983) derivati dalla letteratura clinica e conclusero che lo STAT non apportava un miglioramento significativo rispetto ai test di Carhart, di Rosenberg o di Olsen-Noffsinger. Questa conclusione riflette un confronto indiretto basato sull’estrazione dell’informazione sulla percentuale dei successi rispetto ai falsi positi di ciascuno di una serie di test. Sembra che ci siano poche informazioni pubblicate che confrontino direttamente lo STAT con i risultati dei test liminari di tone decay ottenuti dagli stessi orecchi retrococleari. Gli studi precedenti forniscono all’audiologo informazioni sufficienti per fare una scelta logica nella selezione di una appropriata procedura del tone decay test. In generale, gli studi precedentemente discussi portavano alla conclusione che i test di Carhart e dei 20 dB SL potessero essere superiori a quelli di Owens e alla versione accorciata del Carhart, come il Rosenberg e il Green MTDT. Quando il tone decay iniziale parte lentamente e poi diviene più rapido possono risultare svantaggiosi i test più corti e forse l’Owens. Gli studi precedenti sostengono anche l’opinione che i Bekesy convenzionali siano meno sensibili nell’identificazione delle lesioni retrococleari del Carhart e della sua modifica dei 20 dB SL.

Un esame otologico dovrebbe essere raccomandato in presenza di sintomi precoci associati a lesioni retrococleari. Lo svilupparsi di una perdita uditiva neurosensoriale monolaterale, di acufeni o disturbi dell’equilibrio, anche in assenza di un tone decay anormale, dovrebbe essere considerato meritevole di una indagine diagnostica per escludere la possibilità di una grave patologia retrococleare.

Fattori che Interferiscono con la Diagnosi Precoce

A prescindere dall’eziologia, una diagnosi precoce delle lesioni retrococleari può migliorare l’efficacia del trattamento. Balas e Pirkey (1968) misero in evidenza che in genere un basso indice di sospetto, l’incoerenza dei risultati d’esame e le disfunzioni uditive bilaterali sono di ostacolo alla diagnosi precoce. Il loro ultimo punto merita un commento ulteriore. Le lesioni retrococleari possono coesistere con traumi acustici, patologia dell’orecchio medio, presbiacusia, sordità ereditane e ototossicità da farmaci. L’audiologo è ben conscio, per esempio, che chi lavora con un maglio a caduta il cui udito sia stato danneggiato dal rumore non ha diminuito le sue possibilità di sviluppare un neurinoma dell’acustico.

La patologia retrococleare e dell’orecchio medio non si escludono a vicenda, come dimostra il caso seguente. Una donna di 50 anni con una storia di infezioni auricolari nell’infanzia fu visitata presso il New Haven Ear Nose Throat and Maxillo Facial Surgery Group. L’esame otologico mostrava una grande perforazione reniforme della membrana timpanica con un orecchio medio secernente a sinistra. La membrana timpanica di destra era cicatriziale, sottile e piuttosto retratta. L’audiometria liminare dava le seguenti medie (ANSI-l969) per le frequenze della voce:

Via aerea: Destra 7 dB Sinistra 48 dB

Via ossea: Destra 3 dB Sinistra 20 dB

Questi risultati indicano un udito normale a destra e una ipoacusia mista di media entità a sinistra. Durante l’esecuzione dell’audiometria tonale nell’orecchio sinistro l’esaminatore osservò che il dito del paziente si abbassava prima che il suono fosse interrotto. Data la possibilità che la paziente non avesse capito le prime istruzioni, fu nuovamente istruita a tenere alzato il dito per tutto il tempo in cui sentiva il suono. Quando le soglie tonali furono ripetute, divenne chiaro che la paziente mostrava un grave tone decay. A questa scoperta fee seguito l’esecuzione di una batteria completa di speciali test medici e audiologici progettati per stabilire la sede di lesione. Tutti i test indicavano una lesione retrococleare che fu successivamente confermata dall’intervento chirurgico. La paziente migliorò dopo la rimozione di un grande tumore dell’angolo pontocerebellare di sinistra.

Questo caso esemplifica l’importanza del fenomeno del tone decay come aiuto nell’identificazione delle lesioni retrococleari anche in presenza di altra patologia uditiva. Soprattutto, dove sia implicato il tone decay, è meglio mantenere un alto indice di sospetto e di attendersi l’imprevisto.

Interazione del Tone Decay con Altri Test Uditivi

Un tone decay anormale influisce sull’audiometria Bekesy, sul SISI test (Short Increment Sensitivity Index) e sull’ABLB test(Alternate Binaural Loudness Ba- lance). Occasionalmente, il mascheramento controlaterale rivela una influenza sorprendente sul tone decay quando lo si misura sia con l’audiometria convenzionale che Bekesy. La consapevolezza di pertinenti interazioni è utile nell’ interpretazione dell’esame.
Audiometria Convenzionale. Le istruzioni di rispondere esclusivamente alla tonalità del segnale piuttosto che alla sua udibilità possono influenzare i risultati dei tone decay test sia con l’audiometria convenzionale che con la Bekesy (Green, 1963; Harbert e Young, 1964; Blegvad, 1968). Quando c’è una differenza, una quantità maggiore di tone decay viene dimostrata quando il soggetto è istruito a rispondere al «solo suono».

Il mascheramento controlaterale durante la misurazione del tone decay con l’audiometria convenzionale può avere un’importante influenza sull’esito del test. Shimizu (1969) misurò il tone decay a 500 Hz, 1000 Hz e 2000 Hz in 11 soggetti normoudenti e in 34 con una moderata ipoacusia trasmissiva monolaterale. Con 40 dB SL di mascheramento controlaterale, la quantità di tone decay generalmente aumentava, particolarmente per le frequenze più acute. Per esempio, senza mascheramento controlaterale a 2000 Hz solo il 7% dei soggetti aveva un tone decay di 10 dB, mentre con il mascheramento il 77% presentava un tone decay da 10 a 40 dB. Shimizu citava anche i dati di tone decay in un paziente con ipoacusia neurosensoriale monolaterale. Senza mascheramento controlaterale, l’orecchio peggiore mostrava 10 dB di tone decay a 1000 Hz. Con 40 dB SL di rumore nell’orecchio controlaterale, c’era un tone decay di 30 dB e con 60 dB SL passava a 50 dB. Dato che questi livelli di mascheramento sono presumibilmente abbastanza bassi da evitare il rischio di sovramascheramento, il tone decay osservato durante il mascheramento è attribuito ad un fattore centrale. A causa di questo effetto, il mascheramento controlaterale deve essere preso in considerazione ogniqualvolta si pratichi un tone decay test. Il significato diagnostico dell’aumento del tone decay con il mascheramento controlaterale non è chiaro e richiederà studi cImici ulteriori. Nel frattempo la quantità e il tipo di mascheramento che è stato usato dovrebbe essere registrato con i risultati d’esame.

SISI. A volte un paziente risponde al SISI con un punteggio alto ma riferisce che il suono portante scompare (Jerger, 1955). A causa del decadimento del suono portante, gli incrementi di 1 dB del suono sembrano emergere dal silenzio. Tuttavia, l’intervallo di 5 secondi tra gli impulsi sembra permettere un tempo di recupero sufficiente per consentire la risposta ai suoni successivi. Hughes (1968) studiò 18 di questi pazienti, 11 dei quali avevano una malattia di Ménière. Ce n’erano anche quattro che avevano sordità neurosensoriale improvvisa e tre con neurinomi dell’acustico confermati chirurgicamente. Tutti i soggetti che presentavano questo fenomeno avevano almeno 20 dB di tone decay per I’MTDT alle frequenze del SISI test. Dato che il suono portante è solitamente posto a 20 dB sopra la soglia ed è continuamente presente non sorprende che gli orecchi che mostrano una quantità moderata di tone decay perdano presto la percezione dello stimolo di base.
ABLB. Quando il test di recruitment ABLB è praticato ad una frequenza in cui c’è un marcato tone decay, la crescita della loudness con l’aumentare dell’intensità è minore del normale. Questo risultato è stato chiamato decruitment (Fowler, 1965; Davis e Goodman, 1966) o recruitment invertito (Dix e Hallpike, 1960; Harbert e Young, 1962b) in opposizione al recruitment in cui la crescita di loudness all’aumentare dell’intensità è maggiore del normale.

Miscellanea di Effetti Associati al Tone Decay

Protesi Acustiche. A volte un paziente a cui è stata adattata una protesi acustica si potrà lamentare che dopo l’utilizzo della protesi per un certo tempo lo strumento perda chiarezza o che il soggetto senta l’orecchio «pieno». Dopo alcune ore di riposo, l’udito con protesi può sembrare nuovamente chiaro e l’orecchio non più «ovattato». Quando si incontrano tali pazienti, dovrebbe essere fatto un tentativo di documentare la lamentela con un esame attento, È possibile che sia associata a un tone decay anormale (Goldberg, 1964). In un paziente di questo tipo, lo studio Bekesy fu eseguito prima e dopo un’esposizione di 20 minuti all’ascolto con protesi. Dopo solo 20 minuti il paziente mostrava uo spostamento di soglia significativo che impiegava diverse ore per recuperare.

Disturbi di Linguaggio. Costello e McGee (1967) descrissero due pazienti la cui storia e i dati d’esame erano molto simili. Entrambi i pazienti ebbero uno sviluppo normale in tutte le aree fino circa all’età di tre anni momento in cui presentarono un graduale deterioramento della parola e del linguaggio senza malattie o lesioni evidenti. In associazione con questi dati c’era la presenza di una normale discriminazione grossolana di pitch e un’intelligenza normale, compresa una memoria e un richiamo di materiale verbale normali. La soglia tonale convenzionale cadeva nei limiti di norma sebbene i punteggi di discriminazione vocale fossero marcatamente alterati. Una paziente aveva una discriminazione dello 0% in entrambi gli orecchi e veniva educata in una scuola per sordi. L’altra aveva il 32% in un orecchio e il 60% nell’altro ed era stata inserita inizialmente in una classe speciale per bambini afasici ma poi era stata trasferita in una classe regolare con bambini normoudenti. La seconda paziente si lamentava di un problema di monitoraggio di ciò che diceva. Sebbene potesse sentire parlare se stessa non riusciva a capire le parole che pronunciava.

CONCLUSIONI
Questo capitolo fornisce al lettore una prospettiva clinica e storica del tone decay test. Si è tentato di scegliere tra la letteratura sul tone decay al fine di valutare l’appropriatezza delle tecniche di misura attualmente disponibili. Sebbene le opinioni differiscano ampiamente, le tecniche di Carhart o di Olsen-Noffsinger, con le istruzioni di rispondere alla tonalità dello stimolo, possono essere altamente raccomandate. La valutazione del tone decay continua a avere un’importante funzione diagnostica nell’identificazione delle lesioni retrococleari. Ha un eccellente potenziale come procedura di screening nelle mani degli audiologi. Il suo valore per il clinico sta nel basso costo, nella generale accessibilità nella sua forza di indicatore di una possibile lesione retrococleare.

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UTILIZZO PROVE SOPRALIMINARI NELL’APPLICAZIONI DELLE PROTESI ACUSICHE

L’audiometria tonale liminare deve esse­re accompagnata dalle prove sopraliminari in quanto esse ci permetteranno una diagnosi topografica del danno in caso di sordità per­cettiva.
In tal modo si potrà preventivare se sarà solo necessaria un’amplificazione lineare op­pure un’amplificazione con limitatori dell’u­scita massima e del guadagno. La prova più semplice che abbiamo a disposizione è la ri­cerca della soglia del dolore.
La soglia del dolore si può definire come il limite di intensità a livello del quale il suono provoca una sensazione fastidiosa, dolorosa, di insopportabilità. Nel soggetto nor­male è situata tra i 120 e i 140 dB.

Nelle sordità percettive con recruitment la soglia del dolore viene messa in evidenza tra 80 e 100 dB e anche a livelli inferiori.

La soglia dolore può essere studiata per tutte le frequenze consentendo di delineare una curva di udibilità dolorosa che tanto più sarà prossima alla curva di soglia uditiva tanto più costituirà motivo di «protesizzazione difficile». Tuttavia ai fini protesici ha va­lore non tanto la soglia dolore, ma la soglia di sconforto che si può definire l’intensità alla quale il soggetto accusa fastidio.

In sede di audiometria tonale è difficol­toso distinguere la soglia del dolore da quella di sconforto, in quanto numerosi elementi soggettivi ostacolano questa fine discrimina­zione: ad esempio, la capacità di adattamen­to tipicamente soggettiva è un fattore che ostacola queste valutazioni.

La ricerca della soglia dolore ai fini del­l’adattamento protesico ha una funzione orientativa, tuttavia la sua facilità e semplici­tà di valutazione ne fanno una prova che in sede preliminare di prescrizione non può es­sere trascurata.

La presenza della soglia dolore, come noto, documenta la presenza di recruitment che può esser ricercato in modo più preciso con altre prove di audiometria sopraliminare quale il metodo di Fowler o il bilanciamen­to, il metodo di Luscher e il SISI test.
Queste prove non forniscono precise in­dicazioni ai fini dell’audiometria protesica, anzi sono state superate dalle prove di audio­metria obiettiva, quale l’impedenzometria, in modo particolare la ricerca del riflesso stape-diale, di cui si parlerà più diffusamente nel paragrafo dell’audiometria obiettiva.

Pertanto l’audiometria tonale sopralimi­nare ci permette di documentare se la perdi­ta uditiva ha caratteristiche di recruitment. In questi casi si potrà già prevedere che la protesizzazione dovrà tenere conto degli ef­fetti negativi del recruitment

Per audiometria tonale sopraliminare, si intende un insieme di tests audiometrici che adoperando suoni con livello di intensità più elevata della soglia uditiva permettono di evidenziare sofferenze patologie dell’udito di tipo qualitativo. Questi tests permettono di differenziare le sofferenze cocleari (orecchio interno) e quelle retrococleari (nervo acustico, ecc).

http://www.tanzariello.it/orecchio/esami/fig_1_test-di-fowler.gif

Test di Fowler

Test di Luscher http://www.tanzariello.it/orecchio/esami/fig_1_test-di-lusher.gif

di recruitment. In questi casi si potrà già prevedere che la protesizzazione dovrà tenere conto degli ef­fetti negativi del recruitment